Se l’Arma si inceppa: una Caserma marziana

“L’abito non fa il monaco”, recita un antico adagio. Per analogia, quindi, “la divisa non fa il carabiniere”. Ma, sicuramente, centinaia di anni di tradizione, eroismo e onorato servizio nel tempo di milioni di persone fanno dell’Arma dei Carabinieri l’istituzione più venerata di questo sciagurato Paese. Quindi, se una caserma del disonore brucia, quanto vale un simile evento sul piatto del dare-avere tra cittadini e Stato? Quasi nulla, verrebbe da dire. La sua durata? Il tempo che si consumi il solito falò mediatico dello scandalo di turno. Ma qui non siamo agli ammutinati del Bounty, visto che più semplicemente ci troviamo di fronte al solito dramma proustiano dell’eterna lotta tra il Bene e il Male. Certi processi, però, dovrebbero godere della direttissima affinché quei fuochi di artificio permangano nel firmamento istituzionale per un tempo drasticamente breve, spogliando per sempre della divisa chi l’ha disonorata, per tornare poi il più rapidamente possibile a lodare il lavoro ordinario di chi cerca di mettere ordine e dare un nome ai responsabili di una montagna di reati, soprattutto di quelli in grado di creare un serio allarme sociale, a causa del dilagare della criminalità organizzata e di un numero sempre crescente di traffici illeciti. Quel che qui però interessa veramente, a mio avviso, è la mancata o omessa funzione di controllo da parte delle gerarchie responsabili.

Infatti, su quali basi statistiche si basa la progressione in carriera degli operatori delle forze di polizia? Numero di arresti; sequestri di sostanze; quantità di reati denunciati e perseguiti, con relativo rinvio a giudizio dei presunti responsabili (senza però dare un punteggio ulteriore a quegli elementi probatori che resistono in giudizio!). E qui si riscontra la prima anomalia. Manca, cioè, la costruzione concettuale del vero termometro in grado di misurare il livello di allarme sociale e della pressione negativa esercitata dalla microcriminalità diffusa. Anche perché, sfortunatamente, la fase repressiva non si coordina né con quella preventiva, né con l’altro aspetto fondamentale dell’efficacia dell’intervento pubblico nel recupero sociale delle tossicodipendenze e, di conseguenza, della diminuzione statistica dei reati connessi al piccolo spaccio di sussistenza e alla commissione di reati per procurarsi le sostanze. Solo all’interno di questo quadro composito e di impatto più generale per la sicurezza dovrebbero essere desunti i dati oggettivi, per la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dei presidi di polizia all’interno del territorio di competenza. Manca ormai del tutto, in particolare, quello che prima dell’ultima riforma all’americana del Codice penale era la vera, enorme risorsa investigativa di basso profilo e di prima approssimazione, che si sintetizzava nella figura del maresciallo di quartiere, autentico termometro vivente per la misurazione dei fattori di rischio e della propensione a delinquere di comunità ristrette, quindi facilmente catalogabili e controllabili per quanto riguarda la variazione degli indici locali di criminalità.

Voglio però qui aggiungere un dettaglio che ritengo di non secondaria importanza. Per quanto mi risulta, un tempo rilevantissimo di lavoro degli operatori in divisa è assorbito dalla produzione e manutenzione quotidiana di un enorme volume di atti, che fanno parte delle procedure e degli adempimenti burocratici all’interno della gestione della sicurezza. Manca, cioè, a livello sistemico la divisione dei compiti che oggi esiste in seno all’organizzazione della giustizia, tra attività amministrative di cancelleria e quelle esclusive proprie della conduzione di inchieste e procedimenti penali da parte dei magistrati competenti. Ai fini della demoltiplicazione sistemica di queste incombenze che sottraggono notevoli risorse alla componente investigativa vera e propria, sarebbe il caso di riflettere sull’opportunità di costituire un ruolo unico e separato presso il ministero dell’Interno, che si configuri come una sorta di service particolarmente qualificato (in cui, cioè, il rilascio dei nulla osta di sicurezza, ai vari livelli, sia molto accurato e severo) e flessibile nelle condizioni di impiego. Una componente amministrativa, cioè, in grado di sollevare e supportare tutte le forze di polizia nello svolgimento di compiti burocratici, in modo da sviluppare quella risorsa moderna dei Big-data che permetta a sofisticati algoritmi di costruire tutte le possibili correlazioni all’interno delle informazioni stratificate nelle basi comuni di dati.

Ultime due considerazioni. La prima sul reclutamento (in generale, in tutta la Pubblica amministrazione). La seconda sulla verifica attitudinale, per il mantenimento delle capacità di comando e di direzione. La rivoluzione digitale consente oggi di rendere infalsificabili e non manipolabili le prove scritte di concorso. Il primo esempio che mi viene in mente, è quello di distribuire a ciascun candidato due memorie criptate esterne (usb: una per la commissione d’esame e una per l’esaminando), abolendo la parte manoscritta. Per le prove d’esame, cioè, si utilizza esclusivamente il pc e nessuna operazione sarà più possibile al termine della scadenza oraria della prova. Resi noti i risultati, il candidato non dovrà fare altro che inserire la sua usb nel computer di controllo della commissione per conoscere la valutazione che lo riguarda. Per il secondo aspetto, analogamente nevralgico, occorre rivoluzionare i modus operandi della Pubblica amministrazione (compresa, quindi, l’area sicurezza).

Non deve più bastare l’aver vinto un concorso per avere diritto a vita allo stipendio (e alla progressione in carriera). Al contrario, sarebbe opportuno prevedere una severa valutazione periodica psico-attitudinale sul mantenimento delle competenze e della capacità di comando, con particolare riferimento alla descrizione del quadro della personalità e ai suoi disturbi patologici. Questo per non mantenere in servizio ufficiali o funzionari paranoici che praticano disinvoltamente l’abuso di potere, ovvero garantire a insegnanti caratteriali la permanenza in cattedra con il compito di formare le nuove generazioni. Perché, poi, qui è l’Italia che brucia, anche se non ce ne accorgiamo!

Aggiornato il 28 luglio 2020 alle ore 12:50