
Lo chiamavano tutti Massimo. Era sufficiente per individuare il giornalista romano sempre disponibile e pronto ad aiutare i giovani che volevano intraprendere la carriera giornalistica e soprattutto coloro che avevano bisogno di districarsi nelle pratiche burocratiche dell’istituto di previdenza. Massimo Signoretti era un punto fermo del giornalismo non soltanto per la sua professionalità (abbracciata da ragazzo, grazie anche all’ammaestramento dello zio Alfredo Signoretti direttore della Stampa di Torino e del Roma di Napoli) che lo porterà ai massimi livelli della carriera alla Rai (conduttore del Gr2 e di varie rubriche) ma anche per l’impegno negli istituti della categoria. Ad accompagnarlo martedì nell’addio alla chiesa romana della Balduino tanti colleghi e i tre figli di cui Fabio Massimo, coordinatore della redazione affari e finanza di Repubblica. Il riconoscimento delle doti di Massimo è straripato sui social mettendo in evidenza alcuni aspetti caratteristici della sua attività: partito dalla carta stampata dove aveva lavorato per Il Giornale d’Italia diretto da Alberto Giovannini era diventato negli anni Settanta una delle voci storiche della Radio. Esperto e appassionato di motori ha inventato molte rubriche radiofoniche sul mondo dell’auto. Per noi de l’Opinione Massimo Signoretti era l’amico al quale rivolgersi per conoscere da dentro un certo mondo dell’economia e soprattutto per avere un orientamento su dove stava andando la professione.
Massimo Signoretti è stato impegnato nell’attività dei vari vertici della categoria: Ordine dei giornalisti, Federazione nazionale della stampa, Associazione stampa romana e vicepresidente dell’Istituto di previdenza. All’Inpgi Signoretti ha dedicato una grande attenzione sotto la spinta e il consiglio di Guglielmo Moretti, Gilberto Evangelisti, Ugo Manunta, Enrico Santamaria, Marcello Zeri, Guido Guidi. Anche avversari politici come l’ex segretario della Fnsi e leader della corrente maggioritaria di Autonomia Paolo Serventi Longhi hanno riconosciuto la ricchezza umana e professionale del personaggio dall’inconfondibile sorriso sotto i simpatici baffi. Signoretti non mancava mai nelle campagne elettorali per le elezioni dei rappresentanti di categoria, conosceva quasi tutti, molti lo salutavano cordialmente anche se poi non lo votavano. L’importante era essere presente, battersi per il contratto, per il miglioramento delle prestazioni sanitarie e previdenziali.
Nelle trattative con gli editori era instancabile, non cedeva mai prima di aver ottenuto un buon risultato per la categoria. Il giornalismo lo aveva nell’anima, era naturale per lui. Era la sua vita. Una passione trasmessa poi ai figli. Quando in qualche congresso della Fsni il gruppo egemone tentava d’imporre soluzioni che sembravano sbagliate Signoretti era capace di intavolare discussioni a non finire, per convincere i vari Luciano Ceschia, Giuseppe Giulietti, Vittorio Roidi, Miriam Mafai, Gabriele Cescutti che stavano mettendo la categoria sulla strada sbagliata. La battaglia per l’autonomia dell’Inpgi ai tempi del ministro del Lavoro Carlo Donat-Cattin porta la sua firma accanto a quella di Italo Moretti, Maurizio Andreolo, Franco Abruzzo, Giuliana Del Bufalo, Arturo Diaconale, Gilberto Evangelisti e Giorgio Santerini. Oggi l’istituto è in profonda crisi: i bilanci in rosso si succedono uno all’altro sia per la crisi generale dell’editoria sia per la riduzione del numero degli attivi avendo gli editori impostato i loro piani industriali soprattutto nei tagli degli organici.
Aggiornato il 21 luglio 2020 alle ore 14:15