
Il signor Giacomo scrive alla rubrica L’Opinione risponde (lettere@opinione.it). Si è separato dalla moglie e vorrebbe dei chiarimenti riguardo l’assegno di mantenimento per i suoi due figli. A tal proposito, abbiamo contattato l’avvocato Filippo Sirolli Mendaro Pulieri che ha così risposto: “La Costituzione italiana all’articolo 30 prevede espressamente che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”. Quando una coppia si separa, il genitore che non andrà a vivere con i figli è obbligato a contribuire al loro mantenimento. Teoricamente non c’è alcuna differenza tra la coppia sposata e quella di conviventi, ma occorre fare una precisazione. Se le coppie di fatto non necessitano del Tribunale per dirsi addio e ricorrono al Giudice solo quando non trovano un accordo sull’ammontare del mantenimento per i figli, al contrario, le coppie sposate hanno sempre necessità di un provvedimento del Tribunale per separarsi e in tal caso l’ammontare del mantenimento dei figli, anche se concordato dai genitori, è soggetto al vaglio del Giudice che potrà sempre ridefinirlo se lo riterrà insufficiente.
Il contributo al mantenimento dei figli minori è determinato in una somma fissa mensile e solo dopo i 18 anni, il figlio maggiorenne potrà chiedere il versamento diretto a lui stesso. Oltre all’assegno mensile, il genitore non convivente dovrà versare una parte delle spese straordinarie (di solito pari al 50 per cento), ossia quelle spese imprevedibili e che non rientrano nella normale gestione quotidiana. Si pensi alle spese per una gita scolastica, per un intervento chirurgico, per una visita medica, per l’acquisto di un motorino. I parametri di cui il Giudice deve tenere conto nel determinare l’assegno di mantenimento sono diversi. Prima di tutto dovrà prendere in considerazione i bisogni del figlio e il tenore di vita goduto durante il matrimonio o la convivenza dei genitori; poi, il tempo trascorso dal figlio con ciascun genitore, le rispettive risorse economiche dei genitori ed infine i compiti di cura e aiuto domestico assolti dagli stessi. È possibile provvedere al mantenimento in altri modi, ad esempio costituendo un trust, ponendo un vincolo di destinazione su dei beni immobili oppure pagando una somma di denaro una tantum.
I genitori devono mantenere i propri figli finché questi non sono in grado di mantenersi da soli per aver trovato un’occupazione stabile o finché non dimostrino che la loro incapacità economica dipenda esclusivamente dall’inerzia. La giurisprudenza ha più volte definito i limiti del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne, statuendo che non qualsiasi impiego o reddito (come il lavoro precario, ad esempio) fa venir meno l’obbligo del mantenimento (Cassazione n° 18/2011), sebbene non sia necessario un lavoro stabile, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio tali da garantire un’autosufficienza economica (Cassazione n° 27377/2013). È pacifico che, affinché venga meno l’obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un’appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (Cassazione n° 4765/2002; n° 21773/2008; n° 14123/2011; n° 1773/2012). Occorre infine precisare che il mantenimento dei figli minori è sempre modificabile nel caso intervengano mutamenti positivi o negativi delle condizioni economiche delle parti.
Aggiornato il 21 luglio 2020 alle ore 14:00