La Corte apre all’Inpgi i giornalisti pubblici

In materia di diritto riguardante l’informazione la Corte costituzionale, in appena quindici giorni dalla ripresa dell’attività dopo la quarantena causata dalla pandemia da Coronavirus, ha messo in moto due procedimenti sui quali dovrà decidere il Parlamento. Dopo aver concesso un anno al legislatore per trovare una soluzione giuridica alla sanzione del carcere per i giornalisti condannati per diffamazione aggravata, ha ora aperto la strada per la Vexata quaestio della peculiarità del lavoro giornalistico all’interno delle Amministrazioni pubbliche.

In tempi di crisi dell’editoria, con conseguenze gravi sul bilancio dell’ente di previdenza, l’ultima fase della presidenza di Marta Cartabia (prima donna ad occupare questa carica), sembra consentire un percorso concreto per risolvere annose questioni che hanno spesso bloccato l’attività del giornalismo italiano. Dopo centinaia di convegni, appuntamenti, tavole rotonde organizzate dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione della stampa era sembrato che nel Duemila con la legge 150 si fosse messo un punto fermo sull’applicazione del contratto negli uffici stampa di Regioni, Comuni, aziende sanitarie. Era stata la battaglia di una vita del leader dei pubblicisti Gino Falleri per allargare la piattaforma contributiva di quanti svolgevano a tempo pieno o part-time il lavoro professionale nell’ambito del settore pubblico.

Per anni sono prevalsi vari “marchingegni” per non applicare norme certe dal punto di vista normativo, retributivo e contributivo. Regioni, Comuni, Asl emettevano bandi (oppure assumevano) con le formule più disparate per un’attività delicata come quella di scrivere e diffondere comunicati, organizzare conferenze stampa, interviste dei responsabili dei settori. Con la sentenza 122 del 12 giugno 2020 si riapre la strada per una soluzione definitiva. Il deliberato della Corte costituzionale parla chiaro: “Non esistono giornalisti di serie A e di serie B. Esistono i giornalisti che operano nella Pubblica amministrazione e vanno definitivamente riconosciuti come tali, senza differenze rispetto agli altri che operano nel vasto mondo dell’informazione”. La Corte rileva che l’evoluzione normativa “segnala l’attenzione del Legislatore alle problematiche connesse alla peculiare posizione dei giornalisti che siano pubblici dipendenti, problematiche rientranti nella sicura competenza statale, che vanno approfondite nelle sedi negoziali, attuando le procedure di confronto previste dal Legislatore nazionale e per esso dalla contrattazione collettiva di settore”.

Da vent’anni non vengono attuate le norme di legge che riguardano i giornalisti che lavorano negli uffici stampa pubblici. Mettendo in campo una rapida e concreta trattativa si potrà ottenere un interessante piano economico-finanziario con il quale l’Inpgi si vedrebbe accreditati, senza sanzioni e spese legali, i contributi che “i giornalisti pubblici” hanno versato all’Inps, comprensivi di 5 anni di arretrati. Utilizzando gli accordi necessari il successivo passaggio potrà essere quello di versare sempre in futuro i contributi all’istituto di previdenza, che finalmente potrebbe respirare e bloccare l’ampliamento della voragine dei conti provocata dai prepensionamenti e dalle crisi aziendali. La Corte costituzionale ha aperto le porte alla speranza e ha confermato la peculiarità del ruolo del giornalista come primo perno di una corretta e tempestiva informazione. A questo punto, la palla passa al sindacato che deve muoversi con rapidità.

Aggiornato il 16 giugno 2020 alle ore 11:27