
Il 12 giugno è Giornata di celebrazioni a Trieste e Gorizia: la Giornata che ricorda la Liberazione delle due città dall’occupazione jugoslava, immediatamente successiva alla fine della Seconda guerra mondiale del 1945. A Trieste, infatti, già il 26 maggio, la Giunta comunale, su proposta del sindaco Roberto Dipiazza, ha approvato la delibera che istituisce questa Giornata cittadina del 12 giugno. Si ricorda quando, appunto il 12 giugno 1945, le truppe del IX Korpus dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (Epj, già istigatore, tra l’altro, dell’eccidio di partigiani bianchi compiuto nel febbraio precedente, alle malghe di Porzus, dai resistenti filotitini), che il 1° maggio avevano occupato Trieste proclamandone l’annessione alla Jugoslavia comunista, furon costrette a ritirarsi in seguito agli accordi di Belgrado del 9 giugno. Sottoscritti, da parte degli alleati, dal generale britannico Harold Alexander, comandante supremo delle forze alleate nel Mediterraneo (e già trionfatore contro Erwin Rommel, in Nordafrica, nel ’42-43).
Accordi definitivamente ratificati l’11 giugno, a Duino, dai generali Morgan e Jovanović: in base ai quali la Venezia Giulia fu divisa dalla “linea Morgan” in due zone, rispettivamente e provvisoriamente occupate, in attesa dei trattati di pace, dagli eserciti anglo-americano e jugoslavo. La motivazione della municipalità triestina per la commemorazione ricorda che la città, “Sottoposta a durissima occupazione straniera subiva con fierezza il martirio delle stragi e delle foibe non rinunciando a manifestare attivamente il suo attaccamento alla Patria”. Questa ricorrenza del 12 giugno, ricordata fin dagli anni Cinquanta ad opera della Lega nazionale, è stata celebrata per la prima volta nel 1990, per iniziativa dell’Unione degli istriani: dal 2000 in poi, la cerimonia si è sempre svolta con la presenza del Comune di Trieste, della Provincia e della Regione Friuli Venezia Giulia. Con la delibera del 26 maggio, si prevede l’organizzazione, ogni anno, di un programma di commemorazioni cittadine, insieme alla commemorazione ufficiale da tenersi nella Sala del Consiglio comunale.
“Questa Giornata della Liberazione dall’occupazione jugoslava del 12 giugno”, sottolinea Marino Micich, direttore dell’Archivio museo storico di Fiume, “aggiunge nuova linfa al dibattito politico e storico-culturale sempre vivo in Venezia Giulia e negli ambienti della diaspora giuliano-dalmata, nonché tra la minoranza slovena locale. La sola Trieste, alla fine della Seconda guerra mondiale accolse stabilmente non meno di 70mila profughi istriani, fiumani e dalmati in fuga dalle terre sottoposte all’occupazione jugoslava. Ai primi di maggio del 1945, precisiamo, con l’arrivo delle forze partigiane jugoslave non ci fu vera liberazione, né furono poste le basi per l’avvento di un regime democratico e pluripartitico a Zara, a Fiume, nell’Istria o a Trieste. A Zara ben 372 persone furono fatte sparire, secondo una ricerca di Franco Luxardo, presidente dell’Associazione dalmati italiani nel mondo libero Comune di Zara in Esilio. A Fiume Giovanni Stelli, nella sua Storia di Fiume (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2017), parla di oltre 600 italiani appartenenti a ogni estrazione sociale, politica e confessionale, che furono uccisi e scomparirono per mano dell’Ozna (sostanzialmente la polizia politica di Tito, ndr)”.
“Al merito storico di aver contribuito alla sconfitta del nazismo e del fascismo in quell’area di frontiera”, prosegue Micich, “il Movimento popolare jugoslavo, con grave demerito cercò di imporre anche a Trieste e a Gorizia una dittatura comunista, con la forza e l’esercizio di violenze di ogni tipo, a danno delle libertà democratiche e dell’italianità presente in quel territorio. L’elemento italiano veniva nel suo complesso arbitrariamente identificato col fascismo a scopi strumentali, e pertanto sottoposto a ogni privazione possibile, riguardante la vita stessa delle persone. I comunisti sloveni e croati, trovarono sostegno ideale e armato per le loro aspirazioni territoriali sull’intera Venezia Giulia nel Pci e nel suo massimo leader, Palmiro Togliatti.
Quando i comunisti italiani, dopo aver inneggiato sulle pagine dell’Unità del 1° maggio 1945 alle truppe liberatrici di Tito, ad un certo punto si mostrarono titubanti nel sostenere l’appartenenza nazionale della città, ci fu il Partito comunista della Regione Giulia, guidato da elementi sloveni e italiani, a difendere le tesi annessioniste jugoslave e a confondere la già difficile situazione. Le ambiguità politiche del Pci (che solo nel 2005, 60 anni dopo la fine della guerra, son state riconosciute, storicamente e politicamente, dall’allora segretario nazionale dei Ds, Piero Fassino), non aiutarono certo gli italiani democratici di Trieste, che si riconoscevano nel Comitato nazionale di liberazione giuliano o avevano militato nei Corpi volontari per la libertà. Sin dal 1° maggio 1945, così, alcune migliaia di triestini e goriziani furono soppressi nelle foibe dei dintorni o deportati nei lager all’interno della Slovenia (tra cui il famigerato campo di Borovnica)”.
Il XIII corpo alleato denunciò al Comando supremo del Mediterraneo, retto appunto dal generale Alexander, che erano state deportate dagli jugoslavi, dal 1 maggio all’11 giugno, almeno 1500 persone, e circa 3mila soppresse. Nonostante l’instaurazione del Governo militare alleato e della linea Morgan, comunque, le attività dell’Ozna a Trieste e Gorizia non cessarono: almeno sino al dicembre 1945, infatti, la famigerata organizzazione poliziesca, sorta di “Gestapo rossa”, mantenne tranquillamente una sede proprio a Trieste, in via Carducci, 6, nel palazzo dell’Inps, col beneplacito degli Alleati. Nel 1954, con la firma del Memorandum di Londra, finalmente Trieste sarebbe tornata italiana: ma per gli italiani di Zara, Fiume, Pola e tutta l’Istria, rimaneva l’unica, drammatica prospettiva dell’esodo senza ritorno, iniziato già nel ‘45 e destinato a durare sino a metà anni Cinquanta.
Dopo Trieste, anche la Giunta comunale di Gorizia ha approvato ultimamente una delibera che dichiara il 12 giugno festa cittadina. Una data, precisa il sito del Comune, che “corrisponde alla vera liberazione” della città: la quale, a differenza del resto di Italia, “già liberata dal giogo delle dittature totalitarie”, si sarebbe ancora ritrovata sotto occupazione jugoslava, usata da Tito “come merce di scambio al tavolo dei vincitori”.
Aggiornato il 12 giugno 2020 alle ore 16:25