Quali sono le vite che contano di neri? E che cos’è un regime democratico? Due ottimi interrogativi ai quali rispondono altrettanti editoriali del Wall Street Journal del 9 giugno scorso, che rappresentano per l’appunto l’altra faccia dell’antirazzismo Usa. Nel primo (“Violence threatens black lives”), la giornalista afroamericana Nestride Yumga, non censurabile quindi da parte del politically correct, muove due osservazioni fondamentali e assai critiche al neo Movimento Black Lives Matter. Nel primo, già ampiamente anticipato nel sottotitolo “Gli afroamericani hanno bisogno di riforme politiche reali e non di antagonismo razziale”, riserva il suo cordoglio alle 30 vittime di colore, uomini e donne, che hanno perduto la vita nel Distretto di Columbia nei primi tre mesi del 2020 e non per mano della polizia ma esclusivamente a causa della violenza criminale. “E non è che per questo solo fatto le loro vite contino di meno!” (si intende, rispetto a quella di George Floyd). Il focus dell’editoriale non punta sui metodi di intervento della polizia, comunque ingiustificabili e da sanzionare con il Codice penale esistente comprese le aggravanti, ma sul regime di violenza che caratterizza la vita degli americani e soprattutto delle minoranze di colore, con particolare riferimento alle comunità afroamericane. Invece di chiedere riforme urgenti e improrogabili dal punto di vista sociale, della formazione scolastica di base e del recupero del degrado urbano nei quartieri neri svantaggiati, il Movimento Black Lives Matter che cosa fa? Spinge demagogicamente sul pedale dell’acceleratore mettendo gli americani l’uno contro l’altro!
E, invece, dice Yumga, bisognerebbe indirizzare la protesta a livello nazionale verso rivendicazioni che fanno davvero la differenza, per l’effettivo miglioramento delle attuali condizioni di vita delle minoranze. Ad esempio: pretendere in primo luogo che i dipartimenti di polizia individuino e arrestino i veri colpevoli degli omicidi di afroamericani da parte di criminali comuni; protestare con il Congresso e la Federal Reserve per migliorare le condizioni di accesso al capitale; esigere un drastico miglioramento della formazione scolastica obbligatoria (da sempre affidata a insegnanti afroamericani!) che riduca il drammatico tasso di insuccesso scolare e di analfabetismo di ritorno dei figli delle minoranze di colore. E qui Yumga si gioca il primo paradosso che affligge la lotta del Movimento: colui che ti fa credere che tu sia un oppresso per questo stesso fatto limita la tua capacità di azione! Allora, meglio dire “No che non mi sento oppresso! Io sono un americano e un uomo libero!”, perché poi né Martin Luther King Jr., né Malcom X si sono mai concessi alla lussuria del vittimismo! Perché gli afro–americani hanno disperatamente bisogno di uomini e donne della loro gente che sappiano dimostrare al mondo di avere successo nella vita, riscattando quel loro peccato originale di essere nati nei quartieri più poveri e violenti delle inner-cities americane! Perché con le loro stesse vite e il loro esempio “ci mostrano come la nostra America sia la Patria delle opportunità! Noi tutti abbiamo dei sogni e siamo liberi di realizzarli e non dobbiamo consentire a nessuno di dirci il contrario!”.
Infine, l’invettiva politica: il Movimento non rappresenta tutti i neri d’America, “né le nostre comunità; non può parlare a nostro nome; né vantarsi di agire per il nostro bene anche perché costoro non hanno in nessuna considerazione la nostra prosperità! La maggioranza dei neri americani sono a favore di proteste pacifiche e fruttuose, come quella di Martin Luther King Jr. e ambiscono a riforme che assicurino loro di essere più prosperi rimanendo liberi!”. E vagli a dare torto! Il secondo editoriale del WSJ è molto più rivolto agli osservatori esterni, intesi come nemici interessati (Russia e Cina, in particolare) che soffiano sul fuoco della protesta afroamericana e della malagestione del Covid-19 da parte dell’attuale Amministrazione. “Enemies see a weak and divided Usa”, avverte Walter Russell Mead e, ovviamente tutti costoro si sbagliano di grosso perché tendono a identificare gli attuali disordini antirazziali come un ulteriore segno di indebolimento della leadership americana nel mondo e non capiscono, invece, che da lì deriva la forza della sua democrazia! Perché, poi, a personaggi come Recep Tayyip Erdoğan, Xi Jinping e Vladimir Putin (veri e insuperabili maestri nella dura repressione delle manifestazioni di protesta!) non importa sostanzialmente nulla di quanto sta accadendo. A loro interessa capire come si comporterà l’uomo forte al comando dell’America; che cosa lui voglia e come intende realizzare quei suoi fini; quanto durerà e chi verrà dopo di lui. Assai meno, invece, i nemici dell’America sono orientati a capire se la protesta avrà esisti positivi per la riforma pacifica del sistema. L’unico fatto che li riguarda è il seguente: “Ma, gli Usa, usciranno da queste crisi più forti o più deboli?”.
Nel secondo caso, piazzeranno senza colpo ferire azzardi del tipo di quelli di Hitler negli anni Trenta (crisi di Wall Street del 1929), o di Vladimir Putin che invase la Georgia nel 2008 (crollo dei mutui subprime). Ed è proprio la percezione di una progressiva debolezza dell’America e dell’Occidente ad avere spinto Xi Jinping a mostrare i muscoli. Ma, avverte Walter Russell Mead, “sottostimare l’America è l’errore peggiore che i nostri nemici possano fare!”. Le crisi negli Usa non costruiscono dittature ma riforme di sistema a Costituzione invariata! Vedi l’uscita vittoriosa dalla Guerra fredda; il trionfo sul nazismo e il successo rooseveltiano del New Deal e poi del Piano Marshall. Chi oggi la odia, sappia che l’America vincerà sempre quanto interverrà a difesa del mondo libero contro ogni forma di dittatura! Provare per credere?
Aggiornato il 11 giugno 2020 alle ore 12:22