Non ci sono più gli eretici di una volta

Non è un segreto per nessuno il fatto che chi scrive non abbia mai nutrito la benché minima simpatia per l’attuale Vescovo di Roma – è altrettanto noto che la mia stima vada a ben altri pontefici quali non se ne vedono più sul Sacro soglio, da cinquecento anni circa – quello strano gesuita argentino che risponde al nome di Jorge Mario Bergoglio e del quale mi chiedo quanto sarebbero andati fieri un hidalgo e un mistico come Íñigo López de Loyola o un Francesco Saverio.

Così come non è certo ignoto che il sottoscritto non abbia mai avuto né stima né considerazione di quel singolare personaggio, al limite del folklore postconciliare, tra l’ecumenismo fricchettone e il sincretismo più vicino alla New Age acquariana, che tutti conoscono come “padre” Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose.

Non entrerò in merito alla sin troppo facile disamina di una simile “fraternità” che rasenta, se non tocca l’eresia in più punti, dimostrandosi comunque meno divertente di un qualsiasi ashram di Osho ai tempi dei Beatles o della comunità Damanhur e persino dell’Abbazia di Thélema. No, da cattolico apostolico romano, pessimo ma pur sempre tale, non condivido nulla con Bose né con il suo fondatore, ma oggi, per la prima volta, mi trovo a dover essere d’accordo con Bergoglio o addirittura con quei prelati che lo hanno consigliato di rimuovere Bianchi, dimostrando nei fatti come anche Bergoglio sia per nulla diverso da un orologio rotto che due volte al giorno segna l’ora giusta.

Fatte le debite proporzioni, per i tempi e per gli eventi, a me il “priore” di Bose ha invece sempre ricordato alcuni personaggi storici dell’Europa cristiana, il primo dei quali è Fra Dolcino. Come costui Bianchi non ha mai preso i voti, e che come lui fondò una propria congregazione eterodossa e promiscua. Siamo molto lontani da grandezze visionarie e apocalittiche quali Gioacchino da Fiore o da Pietro Abelardo. Ci ritorna in mente piuttosto il francescano pauperista Michele da Cesena.

Mi domando da sempre perché – ed Enzo Bianchi non fa eccezione – questa peculiare categoria di uomini che si sente chiamata a parlare per conto di Dio, debba sempre voler riformare il Cristianesimo, ritornando a un non mai ben conosciuto primitivismo dello stesso. Bose e il suo fondatore s’inserisce quindi in quel filone puramente “umano”, “troppo umano”, caratterizzato dall’abusata parola ecumenismo.

In Bose ho sempre avvertito aleggiare sottile ma persistente, l’odore del Plagiario, del Serpente Antico… insomma di colui che l’Apocalisse giovannea ha chiamato l’Anticristo. No, non che “padre” Enzo Bianchi sia l’Anticristo, no, mai detto questo, anche perché costui dovrebbe essere bellissimo di fattezze quanto deforme nell’animo, figlio di una monaca e di uno sciacallo o addirittura di Satana in persona. No, mai “padre” Enzo Bianchi potrebbe incarnarlo. Egli però s’inserisce in quel solco protestante, monofisita, lontano anzi opposto a qualsiasi eresia gnostica, che vede in Cristo un semplice uomo. Soltanto la sua umanità conterebbe, facendone certo uno straordinario caso di bontà, tolleranza, amore ma pur sempre soltanto un uomo, non differente in estrema sintesi da un Mahatma Gandhi o da tanti altri simili. Bianchi non è un “profeta dell’Apocalisse”, è il suo esatto contrario semmai un progressista; non è un “millenarista” perché non attende il Regno Millenario non credendo al Giudizio divino, e forse quindi non ha mai visto neppure quello dipinto da Michelangelo.

Insomma, per farla breve, la fortuna di “padre” Enzo Bianchi è oggi l’assenza di un Bernardo Gui o di un Tomás de Torquemada, che di certo avrebbero avuto ben altre motivazioni per portarlo come esempio d’eresiarca a monito e ad edificazione delle genti.

No, nulla di tutto questo e “padre” Enzo Bianchi non è neanche lontanamente simile a quel geniale gaglioffo che fu Giordano Bruno… È soltanto un uomo, né “padre” né monaco. Soltanto un uomo. Lasciamogli dunque allora tutta la sua umanità, ricordando che Filippo Neri, il più grande santo e mistico che ebbe la Roma del Cinquecento, invece diceva spesso ai giovani di strada riuniti intorno al lui nell’Oratorio: “Paradiso, Paradiso… preferisco il Paradiso”.

Aggiornato il 08 giugno 2020 alle ore 11:31