
Grande è la confusione sotto al cielo. Parte Silvia, rientra Aisha. Non è per nulla una novità, è successo per secoli, donne cristiane del bacino del Mediterraneo rapite dai predoni barbareschi, tenute come schiave, molte delle quali preferivano la conversione all’Islam che in tal maniera avrebbe loro garantito una vita migliore se non venivano riscattate. In molti casi la condizione nella quale andavano a trovarsi non era peggiore di quella dalla quale erano partite. Del resto la conversione è vista non sempre in maniera positiva anche da parte degli stessi correligionari, insomma il convertito è da sempre guardato con – spesso giustificato – sospetto, sia da parte della religione abbandonata sia da parte di quella accettata.
Poi esistono i casi particolari, io stesso ho conosciuto alcuni cristiani che – per motivi che non sta a me giudicare – hanno aderito al Corano, seguendo per lo più, il caso più eclatante, ma non unico, e quindi le sue motivazioni, che è rappresentato da René Guénon. Lascerei questo campo ad altro tempo e luogo, per ricordare invece la storica usanza dei famosi Giannizzeri, i soldati scelti delle fanterie turche, che venivano reclutati a forza dalle famiglie cristiane sconfitte. Questi giovani, istruiti nella fede del Profeta, si tramutavano in fanatici guerrieri e in difensori ferocissimi della fede islamica, a tal punto da essere la guardia personale del sultano. Curiosamente in questo troviamo una delle differenze fondamentali esistenti tra il Cristianesimo e l’Islam, entrambe viste come “religioni guerriere”, non esiste un corrispettivo cristiano del giannizzero.
Tutto ciò senza dover continuamente tirare in causa la battaglia di Lepanto, giustamente riportata alla sua realtà storica da insigni esperti del campo quali Franco Cardini e Alessandro Barbero, che la considerano soltanto un evento all’interno dei secolari rapporti politici e economici tra Islam e Cristianità e che certo non segnò la fine né di quei rapporti né dei conflitti tra le due fedi. Tuttavia la battaglia navale fu decisiva per i seguaci del Papa, su una debole forza marinara quale era quella ottomana, anche perché i cristiani passarono a fil di spada tutti i combattenti fatti prigionieri, fossero essi marinai, artiglieri o giannizzeri. In guerra, nella Crociate come nelle battaglie del Rinascimento e sino ai giorni nostri, ci piace ricordarlo ai più distratti, non esiste differenza tra musulmani e fedeli di Gesù Cristo.
Ora portare su questo piano, comunque nobile perché nobile era la guerra un tempo anche nei suoi aspetti più tragici, il caso attuale di Silvia Romano, mi sembra francamente eccessivo e fuori luogo, in quanto quando durante gli scontri in Terrasanta venivano chiesti e pagati i riscatti per i cavalieri catturati, esisteva comunque un codice d’onore rispettato da tutte e due le parti. Nella vicenda della cooperante italiana, non esiste nulla di tutto questo. È stato pagato un riscatto dallo Stato per liberare qualcuno, non da una prigionia di guerra, ma da una propria libera scelta. Il fatto che adesso Aisha, ieri Silvia, si sia convertita volontariamente non è cosa che ci riguarda ma che interessa soltanto la sua anima e – per chi ci crede – Dio.
Trovo piuttosto discutibile invece l’ostentazione di una cerata ospedaliera, fatta passare per un vestito mediorientale, accentuato dal fatto dell’essere di colore verde, uno dei due colori principali dell’Islam, nonché la consueta corsa da parte di una certa sinistra, particolarmente quella oltranzista Lgbt, che non ha mancato l’occasione di poter ancora una volta innalzare dei peana alla libertà sessuale che esisterebbe nell’Islam. Vadano a dirlo alle donne degli harem del Morocco, come si diceva un tempo, vadano a chiederlo alle giovani sottoposte ad infibulazione… L’Islam è ben altro, ma loro non lo sanno e che al-Khidr li perdoni, perché nessuno di loro entrerà mai nel paradiso di Allah.
Aggiornato il 13 maggio 2020 alle ore 13:23