Abbiamo diviso in due parti il nostro incontro con Francesco Bandiera, presidente della Federazione Italiana Piloti dei Porti. Ovvero il vertice dell’organizzazione nautica che, insieme al comandante del porto, coordina le manovre di attracco e partenza delle navi: una scambio di battute per rammentare che l’Italia è una penisola, nonché il vero porto d’Europa.

Pandemia, lockdown, quarantena, smart working. Parole che ormai fanno parte del vocabolario della nostra nuova vita. Presidente che idea si è fatto di tutto questo e come l’ha vissuta da cittadino?

Nuova vita di cui avremmo fatto volentieri a meno. Le mie idee sono poco importanti in questo preciso momento, in cui mi trovo a gestire, assieme al direttore della Fedepiloti comandante Scarpati, ai colleghi del Consiglio direttivo, ed in coordinamento con i Capi Pilota di tutte le corporazioni d’Italia, una fase tra le più delicate che il pilotaggio portuale nazionale abbia mai vissuto. Fase che deve ancora conoscere il “suo momento critico”, perché quella che è l’emergenza sanitaria mondiale, si sta per trasformare in un collasso economico mai visto prima. Per il resto l’ho vissuta come tutti i miei connazionali, diviso tra casa, lavoro sulle navi nel mio porto di appartenenza e computer. Ma di “smart”, permettetemi, ci vedo ben poco.

I piloti del porto hanno continuato a lavorare anche durante la fase più acuta dell’emergenza. Quali misure avete adottato?

L’escalation degli eventi è stata così repentina che ha preso un po’ tutti alla sprovvista. Questo ha fatto sì che, per riuscire a raggiungere un grado di coordinamento accettabile tra i vari soggetti preposti sia passato del tempo, rendendo necessario, nella fase iniziale, che ognuno agisse per organizzarsi come poteva. L’esperienza emergenziale che stiamo vivendo insegna che un vero e proprio “National Crisis Management plan” è fondamentale. È un tema che, quando i tempi saranno migliori, credo valga la pena di affrontare. Noi siamo un servizio pubblico essenziale del Paese e non abbiamo mai smesso la normale attività lavorativa di pilotaggio, continuando ad operare per garantire la sicurezza della navigazione e dell’approdo, supportando la quotidiana opera dei comandanti dei porti. La prima preoccupazione è stata che, nell’ipotesi di un allargamento dell’emergenza, poi purtroppo puntualmente verificatasi, andava tutelata l’operatività della Corporazione evitando una “quarantena” generalizzata che ne avrebbe pregiudicato il funzionamento. Si pensi che il nostro lavoro ci porta a contatto diretto, giornalmente ed in tutti i porti, con persone di tutte le nazionalità, in differenti contesti sociali-culturali-sanitari. Ancora prima che uscissero i vari Dpcm, i Capi pilota avevano messo a disposizione idonei Dispositivi di protezione individuale (Dpi) adottando procedure interne di contenimento. Nel momento di maggiore crisi di reperibilità di questi dispositivi, la Federazione è intervenuta per acquistarne ingenti quantità che abbiamo poi inviato a tutte le corporazioni. Di questo ringrazio chi ci è stato vicino adoperandosi per aiutarci, senza risparmio di energie e senza speculazione. Un’altra misura molto importante adottata, preventivamente valutata e condivisa con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera, è stata quella di rimodulare i turni in squadre fisse in modo da evitare i contatti diretti tra i piloti in servizio, oltre a programmare il traffico cercando di evitare anche, per quanto possibile e nel rispetto delle esigenze del traffico stesso, la concomitanza di più navi. Il concetto principe è stato “Rallentiamo oggi, per non fermarci domani”.

Al livello umano i Piloti come hanno vissuto questa pandemia? Avete avuto paura del contagio o che le misure di sicurezza introdotte non fossero sufficienti?

Forse siamo avvantaggiati dalle nostre origini professionali. Chi naviga, o ha navigato e non dimentica, sa bene cosa vuol dire costrizione per diversi mesi in un determinato spazio di vita. Inoltre, un marinaio, nel senso più ampio del termine, fa parte di quella categoria di esseri umani con le più alte capacità di adattamento nel brevissimo periodo, proprio per le condizioni di vita professionale. Per il resto si! Ci sono stati effettivamente, e ci saranno ancora, diversi momenti di grande attenzione dovuti ad operazioni a bordo di navi potenzialmente contaminate o con casi conclamati di contagio. I piloti hanno mantenuto fede alla missione a loro affidata, intervenendo con tutte le protezioni previste e seguendo un protocollo di contenimento messo a punto dalla Federazione a livello centrale, ma con il contributo di tutti. Un protocollo per il quale siamo comunque ancora in attesa che venga certificato dal ministero della Sanità, interessato ormai da diverse settimane. Ad oggi gli interventi con un certo margine di rischio registrati sono circa una ventina e includono, come ampiamente noto, anche l’accoglienza delle navi italiane da crociera, che erano in mare da diverse settimane in cerca di un approdo per sbarcare le migliaia di persone ancora a bordo.

Questo rallentamento dell’attività vi ha dato modo di parlare tra voi, di riorganizzarvi o di ridiscutere alcune posizioni?

Un antico proverbio latino, rivisitato ai nostri giorni, recita “la necessità aguzza l’ingegno” e crea “unità di intenti” aggiungo io. Nei momenti di crisi ciò che fino a ieri sembrava impensabile, oppure poteva essere motivo di distanza, anche solo concettuale, assume una dimensione diversa perché cambiano priorità e obiettivi. I piloti dei porti in Italia sono inquadrati all’interno di un sistema “corporativo” normato dal Codice della navigazione fin dal 1942. Già la parola dà il senso di squadra compatta che deve guardare al motivo per il quale è stata costituita. Nel nostro caso si tratta di servizio pubblico h24 per lo Stato italiano e per le navi che scalano i nostri porti. Sicuramente questa esperienza emergenziale ha portato sul tavolo temi quali la riorganizzazione geografica di alcune realtà, che se prima erano ambizioni tecniche, o semplici sperimentazioni, oggi potrebbero diventare delle necessità inderogabili, per le quali si è aperto un dibattito interno, anche perché nessuno deve e sarà lasciato indietro.

Crede che il fatto di aver garantito la vostra presenza h24 in tutti i porti italiani abbia valorizzato il vostro ruolo pubblico agli occhi dell’opinione italiana, dei mass media e dei grandi gruppi armatoriali?

Il mondo marittimo in generale e quello del pilotaggio in particolare, sono purtroppo da sempre molto distanti dalla “gente”, perché realtà molto tecniche ed oggettivamente non conosciute, perché oggettivamente fuori “dall’orizzonte percepito”. Dico purtroppo, perché l’Italia è letteralmente un pontile nel Mediterraneo, abbiamo scoperto l’America, siamo il paese delle quattro Repubbliche Marinare. Insomma, ce n’è abbastanza per santificare il fatto che siamo un popolo di navigatori. A questo aggiungiamo che il commercio mondiale marittimo sposta circa il 90% delle merci sul pianeta e che tra gli armatori i più poderosi sono italiani. Alcuni di loro hanno addirittura creato delle multinazionali a conduzione familiare. Questi sono grandi valori aggiunti per il Paese. Il mare e la portualità sono una risorsa irrinunciabile per l’Italia. In tutto questo ci siamo anche noi piloti dei porti italiani, con una lunghissima tradizione che la Federazione nazionale supporta e rappresenta da ben 73 anni, ed oggi in un mondo accelerato (ante lockdown ovviamente!), dove l’informazione corre in tempo reale, anche noi abbiamo cercato di adeguarci mettendo a punto un piano di comunicazione volto a fare conoscere il nostro lavoro che non a caso si chiama “servizio”. I risultati ci dicono che nostro contributo sia stato apprezzato, magari stimolando la fantasia di molti in un settore che comunque, nonostante la tecnologia, conserva un ineludibile profondo fascino.

Pensa che alla riapertura totale dei porti per voi possa cambiare qualcosa anche in termini di implemento di organico?

Ce lo auguriamo vivamente. Allo stato attuale alla ripresa avremo ancora una carenza organica di circa trenta unità su base nazionale che diventeranno una cinquantina a breve-medio termine. Anche qui una condizione mai avuta prima che potrebbe impattare significativamente sull’operatività in termini di qualità del servizio. Questo perché una delle caratteristiche principali sulla quale si basa la nostra opera di assistenza, è l’esperienza maturata negli anni a bordo in manovre di arrivo e partenza. Un numero così alto di organico in addestramento vuol dire molti nuovi piloti assunti che a breve opereranno attivamente. Tutto ciò in un momento dove le navi sono sempre più grandi, i porti risultano quindi sempre più stretti (i nostri non dimentichiamo sono spesso all’interno delle città) e le condizioni climatiche, ovvero l’intensità degli eventi atmosferici, sono cambiate. Questo impegnerà molto i colleghi più anziani che, da sempre come prassi interna, si dovranno fare carico delle situazioni più delicate. Purtroppo, questa grave carenza organica si è venuta a creare a causa del blocco per diversi anni delle procedure concorsuali, per una diversa interpretazione della norma messa in discussione da un tribunale amministrativo che ha creato non poco scompiglio in un sistema, il nostro, che deve funzionare meglio di un orologio.

Il Governo come si è comportato nei confronti dei Porti italiani? Crede che gli aiuti e le politiche adottate siano sufficienti?

Non sono nella posizione di esprimere giudizi politici, mi limito a dire da diverso tempo ormai e come altri miei omologhi del settore, che la portualità nazionale deve tornare al centro dell’agenda politica. Dal 1994, anno in cui, con una norma di legge riconducibile alla “Finanziaria” del 1993, fu soppresso l’allora Ministero della Marina Mercantile, l’intero settore ha cominciato un ineluttabile costante declino di cui tutti ne abbiamo pagato significative conseguenze. Dal personale navigante, ai porti e, credo, all’armamento. Quello era un ministero che partecipò attivamente alla ripresa del dopoguerra, riportando l’Italia e la sua flotta mercantile ai primi posti a livello mondiale. La soppressione del ministero della Marina mercantile ha visto dividere le sue competenze in diversi altri dicasteri, creando a volte conflitti di competenza. Il mondo del mare, oltre a non meritarlo, non può permetterselo. Nella fase in cui stiamo entrando la portualità svolgerà un ruolo fondamentale nella ripresa. È un asset strategico di primaria importanza che necessita di tutta l’attenzione possibile da parte dello Stato che ne deve garantire l’efficienza e la sicurezza attraverso il controllo più completo e diretto possibili. Attenzione alle derive privatiste. Grecia docet.

A suo avviso chi ha gestito meglio questa emergenza nella portualità in Europa e nel Mondo?

Per ragioni meramente cronologiche di espansione della pandemia, l’Italia è stata la prima in Europa e, tolta la Cina, anche nel mondo credo, a dover fronteggiare l’emergenza sanitaria. I porti non si sono mai fermati e ciò ha permesso alla collettività di continuare a ricevere i beni essenziali che non sono mai venuti meno. Questo fino ad oggi, ed espressamente riferito all’operatività. Diverso sarà invece capire cosa succederà nel prossimo futuro. L’anno scorso nella mia relazione annuale, accennai che alcuni accadimenti intorno al mondo del pilotaggio italiano li percepivo come volti a favorire processi di privatizzazione o comunque di stravolgimento dell’attuale sistema, a favore di un “rampante liberalismo economico-finanziario”. Quella percezione quest’anno è sempre attuale e certamente mr. Covid-19 potrà solo favorire alcuni processi a causa della crisi economica in cui trascinerà tutti gli Stati. Pertanto, gestirà meglio chi avrà il sistema più solido, non tanto economicamente, ma con norme ed un apparato amministrativo capace di applicarle in modo puntuale. Un sistema che guarda all’interesse generale del popolo e non dei singoli imprenditori.

(*) fine prima parte

Aggiornato il 06 maggio 2020 alle ore 12:15