“Anche i ricchi piangono”. Quando devono andare in galera, soprattutto. E tanto basta alla gente, come i grillini e a chi li alimenta per riconsolarsi di un Paese ormai al declino. Si chiama invidia sociale ed è un palliativo mediatico. Almeno oggi come oggi. Una volta esisteva e basta, come le disgrazie. Adesso à una moda borghese. Vittorio Cecchi Gori in ospedale piantonato a quasi 80 anni è un ottimo diversivo per i Tg Rai e di Sky stracarichi di Coronavirus. Impazzano spezzoni di film da lui prodotti e paragoni con star del cinema cadute in disgrazia o in miseria. Un compiacimento totale ed estasiato. L’odio verso chi è stato ricco – e poi per errori propri o per fatalità della vita o per un mix delle due cose – si trova a dovere affrontare una realtà più dura, simile a quella di tanti altri esseri umani, è superiore a quello nei confronti di chi ancora tra i ricchi e famosi si trova a vivere.
Tanti anni fa si era visto anche nei confronti di Diego Arando Maradona che era un calciatore leggendario. Oggi il truce sentimento ritorna a galla come un vero Coronavirus nei confronti dell’ex presidente della Fiorentina. Che poi è stato il sogno calcistico che ha portato a fondo il povero Vittorio Cecchi Gori. Rifugiarsi dietro la legge è uguale per tutti – che poi in Italia si traduce “in galera tutti quanti senza eccezioni”, tanto la pena è vendicativa nell’infame diritto vivente, e rieducativa solo nella carta costituzionale – quando ci si trova di fronte a un 77enne colpito mesi fa anche da un ictus, è esercizio insieme di ferocia e di ipocrisia straordinarie. Ma il problema non sta nell’inflessibilità burocratica di una procura generale presso la Corte d’appello di Roma e nemmeno nella visione del mondo del partito delle procure.
No, il problema è in quei tanti, troppi giornalisti ammiccanti alla forca quando non addirittura teorici della stessa. Negli ultimi 30 anni il vessillo della libertà di stampa è stato la foglia di fico per mascherare la perfidia voyeuristica (alimentata da intercettazioni e trojan) di un’intera categoria che, pur guadagnando meno – assai meno – di un tempo e pur navigando tra disoccupazione e sotto occupazione, si toglie le più grandi soddisfazioni quando capita sotto la penna un potente caduto in disgrazia. Allora sì che si gode. E questi rari ma intensi orgasmi di carta fanno dimenticare ad alcuni di noi che razza di categoria di miserabili è diventata oggi quella giornalistica.
Aggiornato il 02 marzo 2020 alle ore 13:10