Per un nuovo umanesimo digitale

Il digitale è la miccia che ha innescato quello che definisco nuovo Umanesimo digitale. Ritengo fondamentale ridefinire il ruolo centrale dell’uomo come fulcro di questo processo evolutivo in cui cultura, sapere e crescita tecnologica stanno dando vita ad una nuova realtà. La promessa di rendere il mondo un posto migliore grazie alla diffusione delle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, il machine learning, i social media, rischia di veicolare come unico messaggio la predicibilità di un mondo governato solo dalla tecnica, in cui si annulla il confine tra uomo e macchina. Non c’è alcun dubbio che stiamo vivendo in un’epoca di transizione tecnologica ma non è scontato che le macchine abbiano le stesse capacità dell’uomo in termini di gestione dei processi cognitivi, creativi ed emotivi. Se da un lato abbiamo una visione salvifica della tecnologia, dall’altro si aprono scenari apocalittici che vedono sparire nel nulla tutto ciò che ha contribuito a costituire, nel corso dei secoli, quello che viene definito “uomo”.

In questo tumulto di emozioni e nel mutevole fluire della realtà si sta facendo strada una nuova concezione ed un nuovo modo di considerare la natura umana definibile come Umanesimo digitale. L’Umanesimo digitale professa il recupero della centralità dell’uomo rispetto alle macchine e alla tecnologia, per avviare una “rinascita” della cultura, delle relazioni e della moralità. Esso non converte l’essere umano in una macchina, né investe le macchine del ruolo di “esseri umani”. L’Umanesimo digitale riconosce la specificità dell’essere umano e delle sue capacità, servendosi delle tecnologie digitali per accrescerle e non per limitarle.

Tra utopico e distopico, l’Umanesimo digitale si pone in una condizione di equilibrio, considerando l’impiego della tecnologia a servizio dell’uomo e dei suoi bisogni. Questo vale non solo nell’ambito della produzione e dell’economia ma anche nei campi della medicina, della ricerca e di tutte le attività che contribuiscono al benessere sociale. Per comprendere meglio l’Umanesimo digitale, è utile fare una distinzione tra il termine “complesso” ed il termine “complicato” perché questo ci aiuta a capire efficacemente come abbiamo trattato la questione complessa del digitale fino ad oggi.

Complicato deriva dal latino “cum plicum”, che significa “con pieghe” e l’etimologia richiama le pieghe di un foglio, che per poter essere letto e compreso, deve essere teso eliminando ogni singola piega. Quando noi vogliamo risolvere un problema attraverso l’uso della tecnologia, non facciamo altro che mettere in chiaro il “bisogno” attraverso un approccio di tipo analitico. Solo suddividendo l’insieme in singole parti, che vengono analizzate e solo successivamente ricomposte, si può comprendere il problema sia nel particolare che nell’insieme per poi risolverlo con una soluzione applicativa di tipo sostitutivo.

Nel caso del termine complesso, esso deriva dal latinocum plexum”, che significa “con nodi”, o meglio intrecciato. La spiegazione etimologica richiama al nodo o all’intreccio, come la trama di un tessuto, che non si può sbrogliare senza che si perda la sua visione d’insieme. Sciogliendo i nodi dell’intreccio, si resta con i singoli fili in mano perdendo la forma complessiva del tessuto. In questo caso, la risoluzione del problema non può essere fatta attraverso la segmentazione e l’analisi dei singoli fattori ma deve essere eseguita inevitabilmente adottando un approccio di tipo sistemico, che tenga conto della non linearità del sistema, dell’interdipendenza degli elementi e della totale assenza del rapporto causa-effetto. Per esempio, integrare una tecnologia in un contesto industriale è un problema di tipo “complesso” perché può provocare la perdita di posti di lavoro, ma occorre comprendere in quale rete di relazioni l’intervento è inserito e come tutto l’ecosistema si modifichi con l’intervento umano. Non favorire l’inserimento di una nuova tecnologia, non è una soluzione adeguata ad evitare che si perdano posti di lavoro, ma è semplicemente un modo autolesionista per perdere di competitività come azienda.

(*) Innovation Manager e Responsabile Osservatorio Innovazione e Crescita Digitale di Aidr 

Aggiornato il 05 febbraio 2020 alle ore 13:38