Coronavirus, il morbo della geopolitica

Il Coronavirus? Un genio della lampada per innescare la decrescita infelice della Cina. Recita in merito il Ft (Financial Times) del 1° febbraio scorso: “Le malattie infettive sono uno strumento privilegiato per magnificare tendenze e tensioni sociali in atto. Una forza catalitica come la rivelazione di un’epidemia in essere rappresenta un vettore privilegiato per introdurre discorsi allarmanti che suscitano il panico e la paura del contagio, generando così un bisogno abnorme di individuare capri espiatori”.

Quindi: definire l’epidemia in corso un “pericolo giallo” è razzismo o no? Ridicolo: qui si tratta di un mal comune dove non c’è gaudio per nessuno dei Paesi che vivono nella blogosfera. Il discorso, però, si fa molto diverso dal punto di vista socio-politico relegando in una vasta zona d’ombra la secretività ossessiva dell’autocrazia assoluta cinese e del suo Partito unico onnisciente e onnipresente, che in teoria tutto vede e provvede. Certo, si è visto come le centinaia di milioni di telecamere del suo Surveillance State siano state in grado di essere prontamente convertite, grazie ai loro algoritmi super sofisticati, in apparecchiature di screening di massa per la registrazione in tempo reale della temperatura corporea dei passanti. Ma, nondimeno, l’errore umano “miscalcolato” è stato quello di procrastinare l’allarme contagio all’interno dell’area in cui si è manifestato per la prima volta il virus, circa a metà del mese di dicembre scorso, arrivando a punire i medici che avevano divulgato sui social i loro dubbi sulla neo-Sars.

In questo drammatico contesto la Cina ha mostrato al mondo intero gli incalcolabili danni derivanti dalla verticalizzazione assoluta del suo sistema decisionale, con la deresponsabilizzazione dei livelli dirigenziali intermedi della classe burocratica cinese, paralizzati dal timore di essere sanzionati dal potere supremo in caso di decisioni autonome ad alto rischio, come la decretazione immediata dell’emergenza e la chiusura dei traffici da e per l’area colpita dal coronavirus, a seguito del primo caso accertato. Il solito delirio di onnipotenza da parte del Piccolo Padre di Pechino ha fatto dimenticare a troppi dei suoi adulatori che non basta l’ossequio e l’obbedienza, quando non si è fatto alcun tesoro della drammatica esperienza sanitaria del 2003, in occasione della prima, vera pandemia da Sars (8mila contagiati e 800 decessi globalmente).

D’altra parte, la reazione successiva anche se ritardata di Pechino ha impressionato il resto del mondo, per l’efficienza della sua risposta sia tecnologica, che di ordine pubblico. Nessuna potenza occidentale sarebbe mai stata in grado di mettere su dal nulla in pochi giorni ospedali prefabbricati per ospitare e trattare migliaia di contagiati dal virus. Come nessuno potrebbe mai sognarsi di impedire a parecchie decine di milioni di persone di spostarsi nelle città e nelle aree colpite dall’epidemia. Tra l’altro, va dato atto alla Cina di aver messo a disposizione la sequenziazione del genoma del virus e chiesto l’aiuto internazionale per contenere il contagio.

Ma qual è la corretta informazione da dare al cittadino? Secondo gli standard internazionali ci sono tre cose ancora da stabilire. Primo: quanto sia veloce la diffusione del coronavirus, definita in gergo dal tasso di Ro che più è alto tanto più rapida si rivela la diffusione del morbo. Secondo: qual è il tasso di mortalità del nuovo coronavirus, dato dal rapporto tra infettati/deceduti. Probabilmente la risposta giusta è: minore di quello della Sars. Terzo e ultimo aspetto: come si fa a limitare i rischi di infezione? Per ora, da quest’ultimo punto di vista, ne sappiamo ancora meno rispetto ai due quesiti precedenti. Però, se dovesse definitivamente essere confermato il salto di specie animale-uomo, si pone la questione di mettere fine a una tradizione popolare difficile da eradicare, come quella di fare acquisti nel così detto wet market, dove i venditori macellano gli animali vivi davanti ai loro acquirenti invitandoli a berne il sangue ancora caldo. Proibirli drasticamente significherebbe prosciugare del tutto la diffusione di malattie virali che passano dall’animale all’uomo, come quelle di Ebola, Sars e Mers. Ma davvero il potere assoluto di Xi Jinping può arrivare così lontano? Intanto, mi accorgo con grande soddisfazione che, qui a Roma, milioni di romani incrociano migliaia di asiatici senza alcuna paura del contagio. Sarà per la protezione fatalistica der Cuppolone?

Aggiornato il 05 febbraio 2020 alle ore 12:40