Nel 1925 Benito Mussolini decise che era giunto il momento di eliminare definitivamente la massoneria. Pertanto, istituì una Commissione, detta “dei quindici”, con il compito di determinare la natura della libera muratoria. La commissione, presieduta da Giovanni Gentile, stabilì che l’istituzione era un’associazione segreta che col suo viscerale anticlericalismo aveva procurato notevoli danni al Paese. Non solo, dietro la facciata filantropica essa celava una “organizzazione camorristica in difesa di interessi puramente privati”, pertanto, andava soppressa. Fu questa la premessa della legge Sulla disciplina di associazioni, enti e istituti, approvata il 28 novembre del 1925. Con questo atto legislativo la massoneria fu di fatto proibita.
Ventidue anni più tardi, quando il regime era solo un ricordo, il problema della liceità della libera muratoria si pose in modo indiretto in sede di Assemblea Costituente. Il secondo comma dell’articolo 18 della Costituzione, infatti, recitava: “Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”.
Alcuni, come l’onorevole Ugo della Seta, ritennero che la non definizione di “società segreta” comportasse pericoli per la libertà di associazione. “Mentre, nel primo comma – egli disse – si ha il riconoscimento pieno della libertà di associazione, col secondo, per una troppa generica dizione, si apre la via a possibili, deprecabili violazioni di quella libertà anteriormente, esplicitamente consacrata”.
Il suo intervento non ebbe seguito e l’articolo 18 fu approvato, nella stesura originale, l’11 aprile del 1947. Ciò fu recepito come una sconfitta della massoneria, in quanto, in virtù dell’ambiguità del secondo comma, sarebbe stato possibile varare una legge antimassonica.
Si ritornò sull’argomento all’indomani del caso P2, quando fu varata la legge 17/82 che disciplinava il secondo comma dell’articolo 18 della Costituzione. La 17/82 stabiliva che si era in presenza di un’associazione segreta quando “l’occultamento dell’identità dei soci o delle attività sociali concretamente svolte sia voluto e assoluto. Inoltre, poiché l’associazione si risolve nel rapporto associativo ben potrà dirsi che un’associazione è segreta quando si costituisca all’interno di un’associazione palese”. La legge fu molto criticata. Vi fu chi la considerò una scelta repressiva chi, al contrario, la reputò troppo blanda. Il problema, dunque, non era del tutto risolto ed esplose di nuovo dieci anni più tardi, a seguito dell’inchiesta Cordova.
Aggiornato il 22 novembre 2019 alle ore 13:49