Il mondo della disabilità è straordinario, pieno di emozioni a volte struggenti. Non è facile, ma per capire bisogna frequentare. Non si nasce sempre perfetti, ma se hai la fortuna che questo succeda, o ci illudiamo che sia così, può anche capitare nel corso della vita che qualcosa vada storto. Allora, dare un’occhiata a questa realtà, fare capolino, trascorrere qualche ora del proprio tempo con un disabile e scoprire come vive, le sue difficoltà, il suo quotidiano, non è un’idea sbagliata. Sfuggire all’inevitabile è stupido. Anche perché già solo invecchiare ci rende spesso disabili su molti fronti. Quindi, ho voluto farmi una chiacchierata con Fabiano Lioi, attore e scrittore, nato con una malattia degenerativa importante, seduto su una sedia a rotelle sulla quale finirà i suoi giorni. Ma questo non lo ha sconfitto moralmente e ogni giorno si inventa qualcosa per andare avanti e dare coraggio agli altri, con un bel sorriso stampato sulla faccia.
E con un grande sorriso mi ha accolto. Ha voluto raggiungermi con l’autobus. Avendo preso quella linea per la prima volta, ha scoperto un bus che gli consente di poter viaggiare da solo ed è stato entusiasta dell’autista che lo ha aiutato a salire e scendere dalla piattaforma con il sorriso e con una gentilezza che difficilmente scorderà. “Se vogliamo che l’handicap diventi una normalità anormale dobbiamo essere anche anormalmente normali” mi ha detto, e già aveva inchiodato sulla sedia pure me.
Cominciamo bene! Questa apertura un po’ mi sconcerta. Come mai mi parli di handicap? È una parola che non si usa più, è obsoleta. Sei sicuro di essere “normale”?
Io sono un po’ polemico nei confronti di quelli che usano parole come normodotati, disabili, portatori di qualcosa, perché ti mettono per forza in una categoria. Questo allontana dal volerti poi integrare davvero nella comunità.
Ti capisco, succede anche a noi donne di essere categorizzate in quanto tali.
È vero! Lavoro spesso con la televisione e mi accorgo che per poter vendere ci si espone in modo esagerato e anche l’handicap per avere una sua notorietà vende a volte la sua disgrazia o grazia, e siamo sempre polemici. Invece dobbiamo costruire se vogliamo che per i futuri handicappati che ci saranno ci sia qualcosa di meglio.
Quindi tu parli di handicappati? Mi stai confondendo e preoccupando.
Handicappato è più autentico per me. Si vede subito che ho un handicap, non ho bisogno di magliette, colori particolari per farlo notare. Sono io stesso un colore.
Come per gli anziani e i vecchi, quando siamo vecchi siamo vecchi.
Esatto. È il ciclo della vita, e ognuno è ciò che è. Io non mi sento da meno, mi sento Fabiano con una sua fisicità e una gran voglia di vivere e niente altro. Sono alto 1,30 cm e sono seduto su una sedia a rotelle, ma mi arrangio per arrivarci. Non conosco poi un altro modo di vivere e forse questo mi aiuta. È diverso da chi prima camminava, poi ha avuto un incidente e dopo non ha avuto più le sue funzioni.
Può essere che abbiamo tutti un handicap mentale nei confronti dell’handicap fisico? Parliamo per esempio di trasporto pubblico, di trasporto in generale. Di questo abbiamo parlato sin dalla prima volta che ci siamo visti.
In Italia manca la comunicazione, a Roma adesso c’è una figura istituzionale molto importante il disability manager, il dottor Andrea Venuto, proprio io ho comunicato con lui in diversi casi spiegando i diversi disagi e lui ha risposto prontamente. Con il trasporto pubblico ad esempio ci sono delle regole diverse da quelle che hanno le aziende che effettuano i trasporti quotidiani per portare gli utenti disabili da casa verso i relativi luoghi per fare attività riabilitative, che hanno risolto recentemente grazie ad un lungo impegno personale diversi ostacoli e problemi di percorso con il Comune di Roma. Nel trasporto pubblico, gli autisti devono indossare i guanti, scendere dal loro posto di guida, dopo aver messo in sicurezza il mezzo che è spesso pieno, anzi stracolmo di pendolari, di turisti, ed alzare la pedana a mano, metterla in modo delicato in posizione di apertura, vedere che la persona disabile scenda o salga e dare una mano all’utente in carrozzina, dopodiché rimettere la pedana nella posizione precedente, risalire nella sua postazione dopo aver chiuso le bussole e ripartire per la corsa. Questo anche sotto la pioggia, sia in salita che in discesa, pure se ci sono altri passeggeri che nel frattempo devono salire e scendere dal bus.
Ci vorrebbe quindi una maggiore informazione per curare queste fasi sia per chi deve svolgere questo ruolo per gli altri utenti che prendono l’autobus e assistono a queste manovre?
In tanti non sanno che l’autista è tenuto a svolgere questa mansione. Persino molti autisti non lo sanno ancora. Poi caschiamo nella solita volgarità del fare finta che nessuno sa niente e così facciamo del male. Se andiamo presso alcune fermate delle metropolitane, molti dei dipendenti non sanno come gestire la situazione, addirittura dove sono posizionati gli ascensori. Ma non è colpa del capostazione, non informano i loro dipendenti.
Come si relazionano questi operatori con voi che avete queste esigenze “particolari”?
Sono molto umani, ce la mettono tutta, molti sono giovani, sia gli autisti che queste persone che lavorano nelle metropolitane sono molto gentili nei confronti di coloro che hanno un handicap e a volte lo fanno per senso civico di aiutare non sapendo che sta scritto pure sul contratto di lavoro. L’autista ha sul suo contratto di lavoro quella parte che dice che deve scendere e salire dal suo bus per aprire la piattaforma e far salire e scendere l’utente disabile che deve restare “integro”, ma dovrebbero saperlo.
La tua lotta per i parcheggi dei disabili. Mentre stanno raddoppiando le pene pecuniarie per legge e toglieranno a chi occupa impropriamente il parcheggio con le strisce gialle da sei a otto punti della patente, tu da tempo ti stai muovendo con un tuo piccolo ma efficace movimento.
Si chiama “ParcheggioAcazzo”. Tanti dicono “mi sono fermato solo un minuto” ma un minuto alle volte vale una vita. Basta fare i professori di noantri e di farci la guerra fra poveri! A Roma fare le cose “a cazzo” significa farle a casaccio, in modo molto approssimativo. Invece è la metafora del tempo! Il concetto non è solo per chi occupa i parcheggi, per chi ha il contrassegno per il disabile, ma per chiunque dove si ferma l’autobus, oppure sul marciapiede. Allora se capita, c’è una comunità che si è messa in azione per educare: attacchiamo un adesivo e poi facciamo una foto alla macchina escludendo la targa e la piazziamo su Facebook. Prima però io aspetto e parlo con il “parcheggiatore Acazzo”, spiego che limitano la nostra libertà. Di solito mi guardano appena, si scusano e poi vanno via, ma così solamente non imparano.
@vanessaseffer
Aggiornato il 10 ottobre 2019 alle ore 16:04