Mattel: bambole gender fluid e manipolazione etica dei bambini

L’arrampicata sugli specchi della Mattel per spiegare come ha commercializzato la crociata gender-etic. I motivi che, secondo il colosso di giocattoli, animerebbero l’immissione sul mercato bambole di indefinita identità sessuale, sono, se possibile, più risibili, della nuova linea.

Risale a qualche giorno fa la notizia che la Mattel ha lanciato con il marchio Creatable World la sua nuova linea di bambole dall’identità sessuale indefinita. È ora di giocare a “mix and match” e con “il gender fluid”. Questo l’imperativo del colosso americano leader nella produzione di giocattoli, che in molti hanno accolto come tanto atteso riscatto etico dopo tanti anni di quell’idiozia di Barbie e Big Jim. Tutti tranquilli, finalmente. La Mattel ci è arrivata. Come ha spiegato nella presentazione del prodotto da gioco (ci scusiamo per l’assenza del neutro nella lingua italiana) si tratta di bambole esplicitamente prodotte affinché bambini e bambine possano esprimersi liberamente nell’attività ludica “senza etichette, senza stereotipi di genere, con un'apparenza totalmente libera dal femminile e dal maschile”.

Sono così le nuove bambole di Mattel immesse con fierezza inclusiva in un mercato che, continua a spiegare la multinazionale, “ci piaccia o no, è nella realtà molto lontano dal rosa e dal celeste, dai giochi per bambini e per bambine”. Ecco, molto probabilmente è a questo punto che direttori, vicedirettori e caporedattori delle testate italiane devono aver ceduto ad un sussulto di prudenza e scelto di non dare risalto ad una di quelle notizie che nell’istante in cui vengono pubblicate sul cartaceo e on-line sono capaci, per la sola scelta di averne dato conto, di far crollare in poche ore la già vacillante salute di carta stampata e quella poco più robusta di siti on-line.

“I giocattoli sono il riflesso della cultura e - ci dicono dalla Mattel - dal momento che il mondo continua a celebrare l'impatto positivo dell’inclusività, abbiamo sentito che era arrivato il momento di creare una linea di bambole libera da ogni etichetta”. Bene. Con solerzia informativa priva di quel senso del ridicolo frequentato solitamente dalle menti vigili e dubbiose, la Mattel ci fa sapere che le cugine (lontane, molto lontane, lontanissime) di Barbie sono il frutto di un lavoro di ricerca cui si sono dedicati esperti, genitori, medici e bambini. E che proprio dalla ricerca “abbiamo appreso che i bambini non vogliono che i loro giocattoli siano definiti da stereotipi di genere. Per questo, la linea che consente ai bambini e alle bambine di esprimere liberamente loro stessi, è stata da loro particolarmente apprezzata".

I bambini avevano bisogno di questa linea per sentirsi liberi di esprimersi? Sicuri, sicuri che siano loro a non volere stereotipi di genere? Nessuno ha la suddetta ricerca per le mani ma certo, basterebbe una veloce scorsa al testo per escludere l’ormai nota formulazione pilotata dei quesiti sottoposti al campione di bambini ovviamente propensi a optare per ciò che a monte viene descritto in termini di impositiva bontà. Ora l’ipotesi più probabile sulla genesi di questa linea “particolarmente apprezzata dai bambini” è che non vi sia, in realtà, alcuna ricerca ma soltanto una legittima operazione di marketing volta a cavalcare l’attuale zeitgeist transgender e gender fluid. Tutto più che legittimo in una logica di mercato. Se non fosse per le giustificazioni fasulle ed eticizzanti di cui la multinazionale di giochi ammanta la sua ultima trovata commerciale gender-etic. Il dichiarato e di per sé discutibile intento di “liberare i bambini dallo stereotipo del maschile e femminile", non cela altro che l’obiettivo, puntellato dalle lobby Lgtb, di arrivare a uniformare e controllare miliardi di individui e piegarne e convertirne i consumi. Inoculando nei bambini una insensata quanto ideologizzata ostilità verso le piacevoli regole a cui la natura ci spinge ad adeguarci per assicurare la sopravvivenza e la procreazione.

La follia argomentativa della Mattel deflagra quando si spinge, affondandoci, nelle sabbie mobili della congruità e della logica. Così veniamo a sapere che quest’ultima trovata è inserita nel solco della strada intrapresa anni fa, allorché decise di lanciare sul mercato Barbie grassottelle e multietniche, fino a far incarnare all’irraggiungibile bambola diversi modelli di professioni. Le nuove ibride bambole, finalmente rispettose di tutti, rappresenterebbero, dunque, il coerente traguardo di un processo evolutivo avviato qualche anno fa dalla multinazionale quando Barbie ha iniziato a perdere quel canone di “proverbiale e discussa perfezione”. Ma rendere il suo fenotipo (a cui corrisponde quello di una sola donna su 165 milioni) più umano, naturale e corrispondente alle fattezze della media della popolazione infantile che non sarà mai un’adulta magra, alta, bionda e soda come lei per avvicinarla alla maggioranza delle donne che popolano la terra, non ha nulla a che vedere con l’ultima trovata della Mattel.

Un conto è avvicinare Barbie alla maggioranza delle donne che popolano la terra, ben altro, sotto la spinta di un mercato onnivoro che mercifica qualsiasi sollecitazione e condizionamento ideologico, cancellare del tutto una differenza fisiologica esistente in natura. Oltretutto in virtù della quale il genere umano si assicura la riproduzione. L’ultima decisione della Mattel si qualifica per ciò che è: un’operazione di remunerativa genuflessione alla dittatura delle minoranze antidiscriminatorie dedite a discriminare le maggioranze e ad esse sempre più ottusamente e ferocemente ostili.

Che dietro la paranoica e morbosa attenzione per i “bisogni” dei bambini, poi, si celi anche l’obiettivo di trasformare i futuri adulti in bambole decerebrate e senza identità, manipolabili e orientabili sotto ogni profilo non è più faccenda chiara soltanto agli appassionati di scenari distopici.

Gli anticorpi contro il delirio della mistica anti discriminatoria ormai li hanno sviluppati tutti. Così come la consapevolezza che l’indottrinamento operato nelle scuole coraniche non differisce da questa catechizzazione precoce di menti acerbe, malleabili e prive di completa capacità di giudizio. Resta da capire in che proporzioni altri settori di mercato cavalcheranno l’ideologia di chi punta dichiaratamente a rieducare il presunto oscurantismo di coloro che ancora non si sono piegati all’autoritarismo gender, di chi non considera una bestemmia la complementarietà tra maschio e femmina né un perfido sopruso o una capricciosa contaminazione quel disfmorfismo sessuale, quella combinazione tra due coppie di cromosomi diversi, a cui la natura ha affidato la procreazione tra esseri umani.

Si resta, con fiduciosa certezza, che di coerenza in coerenza, di autolesionismo in autolesionismo, il ciclo della Mattel giungerà al suo zenit con la produzione di Barbie-Gollum, e attributi sessuali interscambiabili e pluricromatici, applicabili a bambole double face, davanti di un colore e dietro di un altro.

Aggiornato il 01 ottobre 2019 alle ore 14:36