
Il tema spinoso delle migrazioni evoca, ad ogni episodio, polemica e dissidio polarizzando i commentatori verso gli estremi, da un lato, di chi vorrebbe eliminare sic et simpliciter ogni frontiera e, dall’altro, di chi preferirebbe adottare un blocco navale nel Mediterraneo, come quello instaurato nei tesissimi momenti della crisi cubana. Purtroppo il dibattito è, spesso, complicato dalla faziosità di chi contrasta, su pure basi ideologiche, qualsiasi espressione di dubbio o preoccupazione circa la sostenibilità sociale e la sicurezza dello svolgimento incontrollato del fenomeno migratorio. La deformazione della narrazione da parte di alcuni Media contribuisce a confondere l'opinione pubblica. Chiedendo venia per lo stile schematico, chi scrive ha provato a sintetizzare le reali dinamiche e il ruolo svolto dai principali attori in campo:
- Migranti: vengono adescati dal marketing delle reti di trafficanti, già nei paesi di origine. Nella maggioranza dei casi non sono rifugiati. Né tra i più poveri. Provengono, invece, prevalentemente dal ceto medio, con (relativa) maggiore disponibilità economica; sono, mediamente, più alfabetizzati (ma comprendono, in alcuni casi, soggetti perseguitati sì, ma dalla giustizia dei rispettivi paesi, per fatti di criminalità comune, o ex detenuti liberati dalle recenti amnistie svuotacarceri in Tunisia); si affidano, spesso ingenuamente, ai canali dei trafficanti per raggiungere il vecchio continente, in cerca di migliori possibilità di vita (o nel caso, non infrequente, dei “soldati” delle mafie nigeriane o delle ubique formazioni islamiste, per proseguire in Europa i propri traffici e le attività di proselitismo). Una volta sbarcati sul vecchio continente – quasi sempre, in Italia – coloro che non ricevono status legale, cadono, sovente, nel racket dell'accattonaggio o nelle braccia della criminalità e dello sfruttamento.
- Trafficanti: Organizzati e ricchi di mezzi, adescano ed estorcono denaro agli aspiranti migranti. Li trasportano, spesso per lunghi tratti a piedi attraverso il deserto, dove molti muoiono durante la tratta, come le tante vittime dei “coyote” messicani che perdono la vita tentando di raggiungere la frontiera degli Stati Uniti. Questi morti, senza nome, sfuggono alla statistica – e al doveroso orrore – perché lontani dalla scenografica rappresentazione mediatica dei soccorsi in mare. Chi non può pagare viene schiavizzato, o stuprato o ucciso per espiantarne gli organi. Il ricavato del business viene usato per comprare armi o sostenere la lotta islamica. Le donne, spesso, dopo le violenze, vengono avviate alla prostituzione.
- Paesi di transito: detengono le migliaia di arrivati in campi rifugiati, in condizioni precarie. Fino a quando, grazie alla collusione tra autorità locali e trafficanti, quanti di essi sono in grado di far pervenire altri denari dalle famiglie in patria, vengono liberati per affrontare la traversata. I governi locali, un po’ per mancanza di mezzi, un po’ per connivenza non riescono a rallentare né arrivi né partenze.
- Traghettatori: spesso essi stessi dei migranti, arruolati dai trafficanti per condurre le imbarcazioni, stipano in precari natanti, con piccoli motori da diporto e poco carburante, varie decine di migranti. Fanno affidamento sul rendez vous con le navi dei soccorritori, dopo poche miglia nautiche. Non casualmente vengono imbarcati qualche minore e donna (possibilmente in avanzata gestazione) per forzare l’effetto mediatico del salvataggio. Esaurito il carburante, il traghettatore chiama i soccorritori internazionali con il telefono satellitare di cui è stato fornito dagli organizzatori della tratta – insieme alla istruzioni per i contatti – che poi getta in mare per evitare che venga ispezionato dagli inquirenti. Sovente l’imbarcazione viene, irresponsabilmente, abbandonata dai soccorritori in mano ai trafficanti, che la riutilizzeranno per nuove operazioni.
- Soccorritori: poiché il natante entra in difficoltà, già a poche miglia dalla costa, è la marina libica che, il più delle volte, tenta di intervenire per raccogliere e riportare in terraferma i migranti. Gli altri paesi rivieraschi, come Tunisia, Italia, Malta, Spagna, intervengono, in conformità agli accordi internazionali, quando il naufragio si verifica nella zona SAR di propria competenza.
- ONG: agiscono quasi sempre, pattugliando le zone SAR del porto di partenza, per battere sul tempo i soccorritori libici e impedire che i migranti vengano sbarcati nuovamente in Nord Africa. Di fatto, già prima di entrare in mare, le ONG hanno stabilito che l’unico porto sicuro di sbarco sia l’Italia. Sostengono che dovere di salvataggio e di accoglienza siano inscindibili. Non accettano discriminazione tra rifugiati e migranti economici o, con nuova definizione, migranti climatici. Spesso non denunciano né colpevolizzano i trafficanti (qualche procura sta indagando possibili collusioni). Si oppongono, dichiaratamente, ai rimpatri anche di chi non abbia titolo all’asilo, in nome di un infondato diritto universale all’immigrazione.
- Italia: rifiuta di farsi carico dei migranti raccolti fuori dall’area SAR di propria responsabilità. E chiede di condividere l’onere di distribuzione dei migranti con gli altri partner europei. Insiste, inascoltata, che sia collettivamente l’Unione a farsi carico dei rimpatri degli irregolari, nello spirito della comune frontiera Schengen. Non condivide la pretesa che l’Italia sia l’unico "safe place" per accogliere qualunque migrante raccolto nel Mediterraneo. Protesta che per far fronte ai costi dei salvataggi (operazioni Triton e Mare Nostrum) e accoglienza dei flussi migratori, ha sostenuto oneri di 6 miliardi di euro (paradossalmente, quasi quanto pagato dall’UE alla Turchia per contenere il flusso di rifugiati siriani verso la Germania) a fronte di contributi europei di poche centinaia di milioni per sostenere la pressione migratoria cui è sottoposta l’Italia. Rimarca che la maggioranza degli arrivati provengono da nazioni nordafricane pacificate (Tunisia, Algeria, Marocco): improbabili rifugiati, quindi, non qualificati per l'ottenimento del diritto d’asilo. Migranti irregolari che i paesi di origine, sempre permeabili in uscita (pur destinatari di importanti aiuti dall’Unione Europea) riammettono con riluttanza e pretestuosi formalismi, in caso di espulsione dall’Italia. Solerti magistrati, in più occasioni, ostacolano le già difficili espulsioni, persino, di stranieri pluricondannati. Colpisce l'inerzia di magistrati di altri Paesi pur di fronte a comparabili chiusure e divieti. Le opposizioni, c.d. progressiste, stigmatizzano il pretesto razzismo degli italiani verso le migrazioni irregolari, in nome di un inevaso, presunto, dovere di accoglienza universale. Un'accoglienza che, nei fatti, deve restare confinata alle periferie più degradate e, Dio non voglia, contaminare i quartieri nobili e i “santuari à la page” sacri agli intellettuali. Amano manifestare solidarietà agli scenografici approdi dei migranti nei porti siciliani, ignorando, subito dopo, lo squallore e la vergogna del loro sfruttamento, per mano del caporalato o ad opera dei professionisti dell’accoglienza (sovente legati al mondo delle coop).
- Partner Europei: schermandosi dietro le regole formali del Trattato di Dublino, rifiutano di condividere il flusso degli arrivi e rispediscono in Italia i migranti (anche minori) che ritengono già approdati, anteriormente, nel nostro paese. Accusano il governo Italiano di violare le regole sui salvataggi, difendendo l’operato delle ONG che battono bandiera dei propri paesi. I governi di questi ultimi (come l’Olanda), rifiutano di accogliere i migranti raccolti dalle proprie ONG. Altri Paesi rivieraschi (come la Spagna) adottano misure restrittive sugli sbarchi non dissimili, nel tenore, da quelle italiane. A Bruxelles viene proposto, ai paesi sotto maggior pressione migratoria, di ridistribuire i soli rifugiati o perseguitati, ma di lasciare, a carico degli stati membri di primo approdo, l’onere di accoglienza e gli sforzi di rimpatrio di tutti gli altri (la maggioranza).
- Nazioni Unite: addebitano alla chiusura dei porti italiana la grottesca statistica dell’aumento dei “morti in percentuale”. Ossia: era meglio prima, a porti aperti, quando ne affogavano a migliaia che adesso, quando ne partono pochi e le vittime sono ancor meno. In altre parole: allorquando, ipoteticamente, si riuscisse a ridurre le partenza a 2 migranti e ne sparisse, tragicamente, tra i flutti, solo 1, l’Unhcr segnalerebbe, allarmata, che i “morti in percentuale” hanno toccato il 50%. Frattanto, pur in grado di operare in complicate situazioni di conflitto, le Nazioni Unite, poco o nulla fanno per combattere i trafficanti, per contrastare il loro marketing verso gli aspiranti migranti e per gestire, in condizioni di umanità e dignità, quanti si trovano nei campi di detenzione dei paesi di transito. Né frenano l’emorragia di tante giovani risorse della classe media africana che potrebbero, invece, servire utilmente in patria allo sviluppo delle rispettive economie.
- Chiesa: sostiene, in sintonia con le ONG, che muri e confini debbano essere abbattuti e che esista un diritto universale a immigrare in un altro paese. E che non debbano servire leggi, documenti e permessi per cercare migliori condizioni di vita in Europa. Nello Stato della Chiesa, il Vaticano, che vorrebbe abbattere i muri del mondo, peraltro, il confine è invalicabile, il controllo dei passaporti severissimo e l’immigrazione, praticamente, impossibile anche per un singolo individuo. Quando in passato la CEI ha accolto parte dei migranti raccolti da navi delle ONG, li ha subito rilasciati sul territorio nazionale, senza che se ne conoscesse il destino. Beffando gli impegni presi e alimentando quell’esercito di invisibili che sopravvive negli angoli bui delle nostre società.
A ognuno la libertà di giudicare comportamenti, omissioni e responsabilità.
Aggiornato il 27 agosto 2019 alle ore 14:12