“Non è vero ma ci credo” è libro scritto dal magistrato Giuseppe Cricenti e dall’avvocato Fernando Gallone, con la prefazione del giornalista Stefano Folli. Tre esperti di diritto di cronaca per un libro che cerca di lasciare una traccia tangibile nell’era delle “fake news”, anche se in altri tempi non è detto che le bufale non abbiano orientato i gusti della gente e le scelte politiche. I due autori, Cricenti e Gallone, intervistati da “L’Opinione”.
Dottor Cricenti, qual è il legame tra il populismo imperante in questo periodo politico e il fenomeno delle fake news?
Il legame è molteplice. Da un lato, il populismo è in parte mantenuto dalla fake news, e succede quando capiscuola o leader promuovono certe affermazioni o certi comportamenti e la gente li segue. Per altro verso opera un fenomeno descritto da Cass Sunstein come di polarizzazione dei gruppi, nel senso che la fake news circola all’interno di gruppi che hanno idee simili, e cosi si rafforza la convinzione sbagliata. Per altro verso ancora il populismo è alimentato dalle fake news attraverso versioni alternative della realtà, che vengono spacciate per altrettanto vere, e che quindi alimentano la convinzione di essere comunque nel giusto. Se è falso che un tale abbia insegnato alla Università di New York, non importa, si fornisce una spiegazione alternativa dicendo che c’è stato comunque, perché non gli hanno negato accesso alla biblioteca, e vale lo stesso. La versione alternativa funziona anche da giustificazione etica, perché in tal modo si evita di etichettare come mentitore chi falsifica i curricula, ad esempio, dando delle sue esperienze una giustificazione. Il populismo trova dunque nella versione alternativa la sua strategia epistemologica, di conoscenza della realtà.
Oggi si guarda con scetticismo e diffidenza alla competenza. Che legame esiste per Cricenti tra questo fenomeno e la diffusione delle fake news?
Di certo una delle speculazioni degli agitatori del populismo è di far passare l’esigenza di competenza come una pretesa della casta. Ma bisogna insistere su un punto. Cosa è la casta. La casta è niente altro che il ceto delle persone competenti: un bravo manovale, ne fa parte, un docente universitario raccomandato, no. L’idea della casta come di un ceto che usurpa diritti del popolo è chiaramente una costruzione retorica. Bisogna impedire che la decostruzione del concetto di competenza sia portata a termine dalle ideologie populiste. La strategia populista è stata fino ad ora quella di far credere alla gente il bisogno di emanciparsi da visioni del mondo imposte dalla casta, e questa emancipazione dalle visioni imposte è avvenuta attraverso la predisposizione di verità alternative, ossia di visioni alternative a quelle ufficiali, quasi sempre false o scientificamente infondate.
L’obiezione spesso sollevata a chi tende a contrastare la libertà di diffondere notizie false è che si rischierebbe di restringere anche la circolazione di quelle vere. Come risponde Cricenti a questa critica?
Rispondo alla critica con la semplice affermazione che vietare di divulgare falsità non significa affatto vietare di divulgare verità, e che spesso la distinzione tra un fatto falso ed uno vero è intuitiva, e non può giustificarsi l’idea che la difficoltà di discernere tra vero e falso debba impedire di vietare il falso. E questa obiezione vale non solo per i fatti, che spesso si lasciano apprezzare facilmente, ma anche per le teorie scientifiche fasulle, che nella maggior parte dei casi, sono facilmente riconoscibili.
Secondo Gallone quanto è pericoloso al momento il fenomeno delle fake news? Ed è sottovalutato?
È pericolosissimo, perché di fatto sta influenzando pesantemente il dibattito politico - ma anche scientifico - nel nostro Paese. Ma ciò che lo rende così pericoloso è proprio il fatto che venga del tutto sottovalutato. Negli altri Stati esiste lo stesso problema, tuttavia, già da qualche tempo le altre nazioni si sono messe al lavoro per introdurre strumenti capaci di arginare il fenomeno e limitarne i danni. Da noi ciò non accade, ed è proprio questo che deve preoccuparci. Ovviamente non si può pensare che la classe politica dominante si attivi per risolvere il problema, se è proprio questa stessa classe dominante a trarre i maggiori benefici dalla disinformazione dilagante.
Per Gallone tra le cause del diffondersi delle fake news c’è sicuramente l’analfabetismo funzionale. Nel testo riportate un recente sondaggio Ipsos per cui l’Italia, nell’indice di ignoranza, intesa come errata conoscenza della realtà, si colloca al primo posto tra i Paesi europei. Qual è per Gallone l’origine di tale fenomeno e come arginarlo?
L’analfabetismo funzionale è una gravissima piaga del nostro Paese. È chiaro che in tale situazione puntare sulla diffusione delle fake news risulti estremamente conveniente, ed infatti è proprio ciò è accaduto in politica negli ultimi anni e continua tuttora. Le cause dell’analfabetismo funzionale sono strutturali e hanno a che fare anche con il nostro metodo di istruzione scolastica, ancorato ad una vecchia concezione seconda la quale si studia sino al conseguimento del diploma o della laurea e poi si lavora per il resto della vita. Questo metodo scolastico andava bene sino al secolo scorso, quando la realtà che ci circonda si modificava molto più lentamente. Oggi non è più così. Si pensi ai repentini progressi in ambito tecnologico. L’Unione europea da oltre vent’anni, attraverso un’apposita direttiva, promuove il Lifelong learning ossia l’apprendimento permanente nel corso della vita. L’Italia è fra le poche nazioni che non si sono impegnate in questo ambito. Da qui probabilmente deriva l’elevato tasso di analfabetismo funzionale. La soluzione è quella di favorire la conoscenza e l’apprendimento in ogni modo ed in ogni ambito. È un percorso lungo ed impegnativo, tuttavia, al momento nel nostro Paese non sembra esserci alcuna volontà di fare qualcosa in tal senso.
Stefano Folli scrive nella prefazione del vostro libro che il potere è il maggiore produttore di fake news. Probabilmente siamo vivendo l’acme di questo connubio. Per Gallone come si cambia rotta?
È esattamente così. Il potere è il maggiore produttore di false notizie, proprio perché non mira ad informare correttamente i cittadini, ma a conservare se stesso. Ecco perché in una democrazia che funzioni bene occorrono degli strumenti che facciano da contraltare al potere. Il più importante di questi è sicuramente la stampa, che rappresenta lo strumento capace di limitare il potere dei governanti raccontandone in maniera imparziale l’operato. Se la stampa non è in grado di lavorare in maniera imparziale allora significa che la democrazia è malata. In Italia questi problemi non sono certo una novità. Di lottizzazione della Rai si è sempre parlato. Quello che desta sconcerto, tuttavia, è che chi oggi ci governa, fino a qualche anno fa gridava lo slogan “fuori i partiti dalla Rai”. Non mi pare che si siano fatti passi avanti in questa direzione. Come tantissimi altri Paesi nel mondo, stiamo attraversando una fase storica chiaramente connotata dal populismo, solo che altre democrazie meglio strutturate di noi si sono dotate per tempo di strumenti capaci di arginare il fenomeno. Noi ci siamo fatti trovare totalmente impreparati, e dunque il populismo ha pervaso ogni ambito di discussione, non solo politica, ma anche scientifica, sociale e culturale. Basti pensare alla banalizzazione con cui negli ultimi tempi viene affrontato qualsiasi argomento di discussione pubblica. Cambiare rotta è fondamentale, tuttavia non è affatto semplice. Se l’assunto iniziale è che le fake news sono prodotte dal potere, il quale si alimenta dalla loro diffusione, allora è evidente che dall’alto non arriverà mai alcun segnale positivo nel contrasto di tale fenomeno. L’unica soluzione auspicabile, dunque, resta quella di una rivoluzione culturale che, partendo dal basso - cioè dai cittadini, dalle associazioni e dalla società civile - miri a migliorare la qualità della nostra democrazia, che oggi appare sempre più malconcia ed in evidente crisi.
Aggiornato il 16 luglio 2019 alle ore 12:20