La violenza psicologica sul lavoro

La violenza psicologica sul posto di lavoro è molto più comune di quanto si creda. Mobbing, stalking, straining: il glossario si arricchisce di continuo di termini inglesi che raccontano, però, una realtà anche italiana fatta di vessazioni, umiliazioni e persecuzioni, vissuta da oltre un milione e mezzo di lavoratori (dati Ispes).

Avere giustizia per il riconoscimento della condotta mobbizzante contro il lavoratore è complesso per il rigore dei presupposti richiesti. Spesso la domanda giudiziale della vittima viene rigettata, soprattutto per la difficoltà nel dimostrare il collegamento funzionale fra i singoli episodi vessatori che devono ripetersi in uno stretto arco temporale manifestando lo stesso intento persecutorio.

Giulia (nome di fantasia) è una ragazza carina, risoluta, che lavora in una notissima catena di supermercati. Il suo capo reparto, Andrea (nome di fantasia), dopo qualche tempo, inizia a “corteggiarla” sul posto di lavoro. I complimenti si trasformano in pressioni psicologiche. Giulia sente il peso delle parole pronunciate come lame. Viene ricattata. Se lavora fino alla chiusura, in tarda serata, è costretta ad uscire con lui. Mesi di stress mentale, fisico e la paura di ritorsioni sul lavoro. Ma Giulia non ha intenzione di cedere. La vittima pensa bene di mettere a conoscenza il direttore e il proprietario dell’attività. Ma nessuno le crede. Solo dopo la sua insistenza viene trasferita ad un altro punto vendita.

Racconta che non è l’unica ad essere “perseguitata”. Persino le clienti vengono importunate. Naturalmente, non con la stessa intensità, ma sempre con comportamenti non graditi. Sta di fatto che Andrea si trova sempre al suo posto di comando. Ora il direttore pensa di richiamare Giulia. Ma la ragazza, pur di non tornare, preferisce essere licenziata. Quasi tutti i colleghi conoscono le pressioni di Andrea. Ne parlano, lo raccontano, ma nessuno ha il coraggio di affrontarlo. Sembra sia il pupillo del proprietario. Hanno tutti paura.

Anche io sono stata inserita nella cerchia delle sue favorite. Ricordo ancora quando si tagliò un dito nel guardarmi. Eppure ero nel negozio anche con abiti castigati. Mi recavo a fare la spesa. Avevo sconti esagerati e sorrisi. Fin quando non mi ha proposto un aperitivo a due. Decido di cambiare supermercato risolvendo il problema. Penso, invece, alle nuove lavoratrici, che non potendo scegliere per necessità occupazionali, saranno vittime di una persona alla quale non si toglie la possibilità di continuare a fare del male. Per paura non lo denunceranno mai. Io lo avrei fatto volentieri. Ma nessun appiglio penalmente rilevante è emerso. Penso alla tristezza, solitudine e rabbia della povera Giulia, lasciata sola tra all’omertà dei colleghi ed i sorrisini di Andrea. A mio avviso si tratta, in ogni caso, di due comportamenti ignobili.

Aggiornato il 12 luglio 2019 alle ore 19:23