L’esercito in camice bianco in marcia verso il Molise

Domenica 2 giugno Festa della Repubblica. La sfilata ai Fori Imperiali, le Frecce Tricolore, gli occhi umidi, le polemiche politiche su chi dice che non c’era perché non invitata e chi dice che non c’era perché non ha accettato di stare fuori dalla tribuna presidenziale. Nel pomeriggio i Giardini del Quirinale con le bande musicali in divisa per una festa del popolo.

Ma torniamo ai Fori Imperiali: l’esercito marciava ma non certo, per fortuna, per raggiunger la frontiera come nella canzone del Piave. Onore ai militi caduti ma il Paese non ha bisogno di eroi da tumulare, di genitori che piangono, di mogli e mariti che soffrono per la vedovanza.

L’esercito sembra essere in marcia verso il Molise, dove il commissario ad acta per la sanità, che è un generale medico della Guardia di finanza, ha chiesto aiuto proprio ai camici bianchi con le stellette per sopperire alla gravissima carenza di medici ed infermieri che sta mettendo a rischio di chiusura alcuni reparti negli ospedali di Termoli, ridente cittadina sul mare ed Isernia che, si badi bene, è pur sempre un capoluogo di provincia.

Ortopedici, ginecologi, anestesisti sono le principali specialità carenti. Sai che novità diranno in Veneto, nel Lazio, in Piemonte ed in tutte le altre regioni d’Italia di cui vi risparmio l’elenco altrimenti mi tocca interrogarvi e chiedervi anche i capoluoghi delle stesse.

Ma ci rendiamo conto che la situazione è seria? Ci rendiamo conto che mancano anche i medici di medicina generale soprattutto in quelle località sperdute che nessuno, tra quelli presenti in graduatoria, metterebbe certo al primo posto per la scelta? Ma ci rendiamo conto delle peripezie – i miracoli lasciamoli ad altri – che i direttori generali e i direttori sanitari della Asl territoriali devono fare ogni giorno per garantire i livelli essenziali di assistenza stretti come sono tra la necessità di fare quadrare i conti, l’esigenza di garantire l’assistenza, l’evidenza di concorsi per medici specialisti che vanno deserti, la fuga centripeta dei medici verso Roma, almeno qui nel Lazio, e non certo verso le province di Rieti, Viterbo, Frosinone e Latina. E poi la politica che chiacchiera, che ripete a cantilena lo slogan “fuori la politica dalla sanità” mentre in realtà chiede, chiede e basta, con buona pace di una visione sistemica del problema.

Magari è pur vero che la vostra stessa cronista, se fosse sindaco di un comune con un ospedale, ospedaletto, ospedalicchio farebbe carte false per non vedersi addebitare dai cittadini elettori la colpa di non aver difeso l’ospedale, e tutto questo magari senza accorgersi che quella struttura non è in grado di fronteggiare la vera emergenza. Il sistema ormai è imploso. La politica ordina l’abbattimento delle liste di attesa, cosa giustissima. Ma la politica si rende conto che ormai i medici residui e sopravvissuti riescono a malapena a garantire i servizi per l’intero arco delle 24 ore? I nostri medici oberati da incombenze amministrative crescenti, aggrediti dai pazienti - ultimo caso noto a Bracciano in Pronto soccorso, e avanti il prossimo - fatti oggetto di accuse di malasanità che nella stragrande maggioranza dei casi finiscono con un nulla di fatto, ormai sono allo stremo.

Continuiamo ad assistere impotenti al teatrino della politica. Cavolo, mi trattengo, mandate un segnale che possa dare un po’ di fiducia alla categoria medica. Anzi mandatene due: firmate questo benedetto contratto fermo da dieci anni e mettete tutte le aggravanti possibili a chi aggredisce un operatore della sanità che sta facendo il proprio lavoro.

@vanessaseffer

Aggiornato il 04 giugno 2019 alle ore 11:38