Giustizia politicizzata

Forse in Italia, prima ancora della politica, il problema, o uno dei problemi più grandi, è quello della Giustizia. Anche lei, infatti, non funziona, o funziona male, e in un certo senso è corrotta. Tanto per cominciare, come già osservava Ugo Betti nel suo dramma Corruzione al Palazzo di Giustizia, i processi partono dai magistrati stessi, i quali s’intromettono nella politica per far fuori gli “avversari” (e ciò dimostra appunto che sono politicizzati). A tale scopo ricorrono a tutti i mezzi possibili, e lo dichiarano spavaldamente loro stessi, con frasi, documentate, di questo genere: “Rivolteremo l’intero Paese come un calzino”, “A questo punto dobbiamo sparare tutte le nostre cartucce”, “Bisogna intervenire in forme sino ad ora ritenute impensabili”. Ma forse ciò che più disonora la nostra Giustizia è stato quando, in tempi ormai remoti, una consorteria di magistrati, italiani e stranieri molto noti (fra cui Colombo e Bruti-Liberati), al grido di “O la Giustizia o il caos!”, proclamarono la necessità di un intervento che, spazzato il caos, desse loro la piena autorità.

Cervi una volta scrisse sul Giornale: “Ormai i magistrati le han pensate tutte: scioperi, girotondi con car­telli contro il premier, gli appelli all'Europa, le strattonate al Capo dello Stato, le frasi bellicose alla tivù: Resistere, resistere, resistere, i convegni, le tavole rotonde, i dibattiti, il plauso all’Unità, le note scampagnate molisane, gli appelli milanesi. In questo clima intriso d'odio cos’altro può esserci se non l’arresto dei cara­binieri che tappino la bocca a chi si arroga il diritto di critica alle toghe?”.

Che dire, poi, di certi magistrati, che vanno sfruculiando gl’imputati con tanta e spudorata impudicizia? “Deve tener presente, signorina, ch’io sono qui per far delle domande, perciò, le consiglio di dir la verità, perché altrimenti commette un reato. Allora dunque a me quel che interessa sapere è questo, non che m'inte­ressi sapere: questi sono atti segreti, in quanto atti d’indagine, non è che io mi voglio fare i fatti suoi, a me interessa se lei ha scambiato le sue, diciamo, offerte sessuali con l'interessamento di S.S, per­ché, insomma, tra l'altro, voglio dire, questo è un atto segreto, segretato, non è che questo è un atto che finisce sui rotocalchi. Pertanto lei qua è come in un sacrario, in cui le vengono poste delle domande, dei quesiti, a cui lei deve dare una risposta. Lei non può, voglio dire, dire: ‘No’, inventar delle storie. Mi ha capito? Allora lei, le torno a dire, è stata con S.S.? Dica: sì o no. Questo rapporto, diciamo, carino, in quest’ambito, insomma, voglio dire, che si è creato fra voi due, diciamo, ci sono stati o no con S.S. momenti di spontanea intimità? C’è andata a letto, lei, con S.S.? Risponda, signorina: lei l’ha fatto con lui l'amore alla Farnesina?”.

La Giustizia, da noi, fatto inaudito, dipende soprattutto dalle voci, dai si dice, dalle testimonianze di un pentito, di un mafioso, da qualche meretrice, dalle intercettazioni telefoniche, dalle microspie piazzate nelle case e così via. I magistrati passano sottobanco ai giornalisti compiacenti le informazioni affinché quelli gli diano un appiglio, con un lavoro sporco che loro, “puliti”, non possono fare, ma di cui sono ben contenti quando si tratta di far fuori uno che gli sta sulle scatole, antipatico.

Ma che Giustizia è mai una Giustizia che dipende in gran parte da un meccanismo così perverso che reca offesa alla Giustizia stessa, che “nel nome del popolo italiano” vuole anche fare la professoressa? Socrate disse: “Non rimprovero ai giudici la mia condanna, ma la cattiveria con cui m’hanno condannato”.

Che Giustizia è poi quella che sa già che violerai la legge e non ti avverte, ma aspetta zitta zitta che tu prima compia il reato e “dopo” ti condanna? Perché non interviene, per esempio, durante la campagna elettorale se sente che un politico minaccia di violare la legge? La Giustizia non deve intervenire solo a fatto compiuto, quando sa che quel fatto accadrà. Se un politico dice “Farò questo”, perché lei non lo avverte e non gli dice che corre il rischio d’esser processato? Perché quando Salvini minacciò di chiudere l’accesso ai nostri porti, non gli disse che quello era un reato? Se il Governo, già come si presenta, è fuori legge, perché la Giustizia, pur conoscendo prima con certezza l’intenzione di compiere un misfatto, interviene soltanto a cose fatte, invece di avvertire i responsabili? E’ così che protegge la nazione? Lei che dovrebbe sempre vigilare se ne sta zitta zitta ad aspettare che il fatto avvenga quando lo sa già? Il suo comportamento in questo caso non è giusto, è perverso, riprovevole: chi le impedisce di metterci il naso quand’è sicuramente consapevole di un reato annunciato, di un delitto o di una violazione della legge? Lei pure è responsabile di quel delitto, di quell’infrazione.

La Giustizia pertanto non funziona come dovrebbe quando non previene un evento che sa che una persona compirà certamente. Se ne astiene per poter, “dopo”, condannare il reo, tanto più se si tratta di un politico. E’ una Giustizia complice codesta, che non fa gl’interessi del Paese, ma per faziosità perde la testa, e i cittadini ne fanno le spese.

Sciascia soleva dire: “Il potere di giudicare dovrebbe avere radice nella repugnanza a giudicare, nell’accedere al giudicare come a una dolorosa necessità, nell’assumere il giudicare come un continuo sacrificarsi all’inquietudine, al dubbio. Non da questo intendimento i più sono chiamati a scegliere la professione di giudicare. Una parte della magistratura non riesce a introvertire il potere che le è assegnato, ad assumerlo come un dramma, a dibatterlo ciascuno nella propria coscienza, ma tende piuttosto a esteriorizzarlo. Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società, che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli”.

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Da “Interviste immaginarie”: la Giustizia

Ieri pomeriggio stavo riposandomi, seduto nella poltrona del mio studio (avevo finito di scrivere un sonetto sulla Giustizia), quando a un certo momento, fra il sonno e la veglia, ho avuto un’apparizione: una donna tutta agghindata con nella mano sinistra una bilancia e nella destra una spada mi stava di fronte, come minacciosa.

“Temi!”, mi ha detto, con voce forte e decisa.

“Oddio, che ho fatto?”, ho esclamato. “Cos’è che devo temere?”

“Si calmi, si calmi”, mi ha risposto lei: “Temi è il mio nome. Io sono una delle più antiche dee della Giustizia. Appartengo alla stirpe dei Titani, sono figlia di Urano e di Gaia e sposa di Zeus”.

“La Giustizia”, ho precisato io, “ha diversi nomi: com’è che mi si presenta lei?”.

“Perché a monte di tutte le dee della Giustizia, per limitarci al mondo greco, ci sono io”.

“Ma che cos’è la Giustizia, esattamente?”

“Le definizioni sono tante, e per questo la Giustizia ha nomi e aspetti diversi. Si può dire che la Giustizia è una virtù morale che consiste nel rispettare i diritti altrui e nel riconoscere a ciascuno ciò che gli spetta. Che è un potere istituzionale a cui è demandata l’applicazione della legge”.

“Però, se mi consente, lei non è uno stinco di santa, anche lei ha le sue pecche”.

“Cosa vuole insinuare?”

“Che sia inquinata anche la Giustizia oltre che la Politica è una verità”.

“Andiamoci piano. Se vogliamo essere giusti dobbiamo dire che sono inquinati certi politici e certi magistrati. Come la Politica anche la Giustizia agisce attraverso gli uomini, ma io non rispondo delle loro azioni, siano essi magistrati o no: la corruzione è in loro non in me. Certo, intaccano la mia onorabilità e ciò mi dispiace, ma non si possono attribuire a me le colpe dei magistrati, o meglio di alcuni magistrati. Io sono giusta, incorrotta e irremovibile per natura, sono gli uomini che tralignano, i magistrati, che tradiscono il mio mandato. Non tirate dunque in ballo me, dicendo che la Giustizia è corrotta, che fa schifo e così via”.

“Politica e Giustizia dovrebbero essere due poteri separati, l’uno indipendente dall’altro, e invece si vedono magistrati che fanno politica. Spesso addirittura lasciano la toga, che dovrebbe essere il non plus ultra fra le attività dell’uomo, e cambiano mestiere, dandosi alla politica e non già per cambiarla ‘dal di dentro’, come si diceva, per giustificarli, degli intellettuali antifascisti che aderivano al Fascismo, ma per arricchirsi”.

“Io vado dicendo da tempo che bisogna separare le carriere dei magistrati: chi ha scelto di fare il giudice, per esempio, non può e non deve andare a sostenere il ruolo dell’Accusa. E viceversa: con quale serenità può giudicare uno che per vent’anni ha fatto il pubblico ministero?”.

“Spesso si fa un uso politico della giustizia, quando un magistrato accusa o pronuncia sentenze dietro la spinta di un sentimento di odio, di vendetta. Non si amministra la giustizia con accanimento, infierendo contro l’imputato. E poi c’è la giustizia ad orologeria: non sarà vero, ma bisogna stare attenti, i magistrati devono evitare che s’insinuino negli animi dei cittadini certi sospetti”. 

“Per mantenersi veramente imparziale il magistrato dev’essere completamente libero e immune da qualsiasi intrusione che possa condizionarlo, non deve dar retta e tanto meno piegarsi alla voce popolare, alle opinioni di questo o di quello, a ciò che dicono i giornali, né deve partecipare a dibattiti politici o a manifestazioni di piazza parlando come un uomo di parte, altrimenti corrompe l’alta e nobile funzione a cui è stato chiamato. Anche con l’utilizzo dei cosiddetti collaboratori di Giustizia, pentiti, mafiosi, ex criminali, prostitute, e con le intercettazioni telefoniche, bisogna andarci piano. La Giustizia non si dà in subappalto ad altri, tanto meno a gente di quella specie”. 

“Anche il delirio di onnipotenza e la smania di protagonismo, frequenti in certi magistrati, sono indice di una mente guasta, esaltata”.

“Lo sa perché c’è corruzione nella politica? Perché i politici, oggi, in generale, non hanno una preparazione giuridica, come non hanno una preparazione filosofica. Fanno le leggi e spesso i magistrati gliele bocciano, vorrebbero farle loro, s’intromettono, intrigano, cosa che non dovrebbero fare, ma purtroppo le cose stanno così”.

“Ha ragione. Bisogna smetterla con le polemiche. Politici e magistrati non danno un buon esempio quando si azzuffano fra loro. E soprattutto offendono la Giustizia”.

A quel punto mi sono svegliato. Ho ripreso in mano il foglio col mio sonetto, che mi stava sullo stomaco, e l’ho riletto. Che ne faccio?, mi sono detto alla fine: lo pubblico? E se qualcuno mi querela?

 

PM

Altro tu non conosci che l’accusa,

non incarni giustizia ed equità:   

tu sei l’Erinni, l’Idra, la Medusa         

rossochiomata, che non ha pietà.

 

Di cattiveria tutta circonfusa,

togli anche al saggio la serenità.

La faccia tua con quella bocca chiusa

solo a vederla i brividi mi dà.

 

Come un’antica e perfida megera                

nel paiolo i suoi filtri ardere fa,

vai rimestando da mattina a sera

 

presunti indizi e false verità.

Ma prima o poi, d’inverno o a primavera,

questa squallida storia finirà.

 

 

Aggiornato il 09 maggio 2019 alle ore 16:27