Medici: cornuti e mazziati

Guai a distrarsi. No per carità non stiamo a parlare della doverosa attenzione che bisogna prestare ogni volta che si è alla guida di un mezzo di locomozione - un po’ di linguaggio burocratese non guasta - e neanche della attenzione che bisogna prestare a potenziali scippatori quando si sale sulla metropolitana visto che, almeno a Roma, viaggiare sulla metropolitana equivale ormai ad una scommessa: a proposito, i bookmakers a quanto danno le quote sulla riapertura delle stazioni Repubblica, Barberini e Spagna della metropolitana? Ah, si preferisce puntare sulla vittoria della Juventus nella prossima Champions perché più facile da realizzarsi.

Dicevamo, guai a distrarsi. La riflessione è davvero tutta dedicata a me stessa che distratta dalle interviste al Procuratore Generale della Corte di Appello e all’assessore alla Sanità del Lazio, un po’ di autocelebrazione non guasta, ha abbassato la guardia su un argomento che nell’attenzione collettiva meriterebbe una costante attenzione e non un flusso di up and down con il rischio di assuefazione alla notizia o di franco disinteresse: la violenza contro gli operatori sanitari, i medici in particolare.

Napoli, ventinove episodi in quattro mesi ci racconta la cronaca, una ogni quattro giorni a far data dai fuochi artificiali e dai botti, e dalle botte, di Capodanno. Napoli, qualche giorno fa, due aggressioni agli operatori del 118 nella stessa giornata. La prima aggressione la derubrichiamo tristemente a notizia praticamente folkloristica perché la scarica di pugni al medico è avvenuta a fronte del rifiuto di far salire a bordo dell’ambulanza un familiare del soggetto soccorso per una crisi allergica: ma come signor medico, non fai salire a bordo un estraneo solo perché i regolamenti lo vietano? Ma ti pare, caro camice bianco, che uno deve attardarsi a cercare un taxi, con quello che costano, un autobus, un motorino, una bicicletta, uno skateboard, i pattini a rotelle o qualsiasi altro mezzo di locomozione - ridagli col burocratese - che la fantasia partenopea può partorire?

E dove la mettiamo l’alleanza medico-paziente, l’empowerment, l’empatia, l’umanizzazione delle cure e tutti questi alti concetti filosofici e morali che indubbiamente, visto il clima, proteggono meno di un casco da pugile dilettante e proteggono ancor meno di un giubbotto antiproiettile. Giubbotto antiproiettile che, nello specifico del secondo episodio, sarebbe servito a nulla se fosse stata realizzata la minacciosa promessa in caso di decesso del paziente: “Vi sparo in testa”. Questa la frase proferita – il termine proferita è mutuata dall’ambito arbitrale e fa riferimento alle frasi offensive in campo e riportate nei verbali che le ex giacchette nere, ormai gialle, azzurrine e fucsia con nuances da fare invidia a Cristiano, il Malgioglio intendo mica l’altro che è bianconero (e vorrei sapere chi lo veste, non fa un fallo!) – da uno degli astanti (parente? accompagnatore? rappresentante di armi?) che preoccupato per il possibile esito infausto, e ben consapevole che la resurrezione non è certificata dalla medicina, ma esiste (eccome se esiste), aveva questo dolce e docile suggerimento da dare agli operatori del soccorso intervenuti, così tanto per rasserenarli e facilitarli nel loro compito assistenziale.

Si dirà che la legge che inasprisce le pene è ormai prossima al traguardo e vogliamo fugare dalla mente l’immagine di Dorando Pietri, il maratoneta italiano diventato tristemente famoso per l’epilogo che ebbe alle Olimpiadi di Londra nel 1908: accusò un malore, venne aiutato dai giudici di gara a superare la linea del traguardo e poi venne squalificato. Cornuto e mazziato, tanto per rimanere nel dialetto che si parla all’ombra del Vesuvio dove sul termine cornuto non mi soffermo, ma sul termine mazziato, oltre che intendersi come picchiato e bastonato, occorre sottolinearne il significato figurativo di chi subisce il danno e la beffa.

La beffa sarebbe l’ulteriore procrastinare l’approvazione della legge. Il danno invece è già stato fatto, con la mancata previsione della attribuzione ai medici della qualifica di pubblico ufficiale, cosa che determinerebbe la procedibilità d’ufficio da parte della Autorità giudiziaria.

“Siamo vicini agli operatori aggrediti – dichiara Luciano Cifaldi, componente l’esecutivo nazionale della Cisl Medici – ma le condanne verbali non bastano più e soprattutto non proteggono i nostri colleghi. Chiediamo ai parlamentari di assumersi in pieno le responsabilità che a loro competono. Noi medici ce le assumiamo tutti i giorni. Usciamo di casa per andare a lavorare, per fare il nostro lavoro, per salvare vite umane. Mettiamo a disposizione dei cittadini e dei malati il nostro sapere, la nostra esperienza acquisita in anni di studio e di attività clinica. Quando mi laureai nel 1984 non avrei mai immaginato che ci saremmo trovati in questa situazione. Tra un po’ rischiamo di essere additati come assassini. Non ci stiamo a fare la parte degli agnelli sacrificali, a parte il fatto che se la smettessimo di sacrificare gli agnelli veri forse sarebbe una scelta salutista e certamente non impopolare. Qui si esce da casa e si va in prima linea – continua  – Non parlo tanto per me, che in questo momento non svolgo attività clinica. Parlo per le migliaia di colleghi che lavorano nei Pronto soccorso, nell’emergenza, come guardie mediche nel territorio, nelle sale operatorie. Abbiamo giurato di difendere la vita umana, non la disprezziamo, cerchiamo di tutelare la salute, di salvare la gente. Anche nella mia categoria ci sono e ci saranno magari i furbetti del cartellino, ma non conosco nessun medico che si alza al mattino per andare ad ammazzare qualcuno. Non conosco nessun medico che dopo una notte di guardia passa il proprio tempo a fare la conta di quanti pazienti ha ucciso. L’errore in medicina c’è sempre stato e ci sarà. Sbagliamo? Ci pensa la Magistratura e quando paghiamo perché condannati da una Corte, non dai processi mediatici, lo facciamo non solo economicamente ma anche in termini umani perché è anche la nostra vita che corre il rischio di sfasciarsi, di disintegrarsi, tra avvocati, perizie, giudizi, udienze e la necessità di dover quotidianamente indossare il camice bianco per prestare assistenza. Siamo esseri umani – conclude – abbiamo paura di sbagliare ma riduciamo il rischio continuando a studiare e ad aggiornarci. Ma dover avere paura di beccarci una pallottola in faccia mentre prestiamo soccorso questo proprio no, questo è inaccettabile”.

@vanessaseffer

Aggiornato il 03 maggio 2019 alle ore 17:10