Il tema della violenza alle donne e del femminicidio sembra aver finalmente varcato la soglia del clamore mediatico derivante dalle notizie di cronaca su ogni singolo episodio, per assurgere a crimine autentico anche nella consapevolezza di un nuovo comune sentire da parte dei cittadini. Non mancano e non mancheranno certo facili strumentalizzazioni e addirittura denunce di episodi magari inesistenti ma il dato certo è che, anche se sono ancora presenti sacche di indifferenza e di resistenza, ormai le associazioni femminili e le Istituzioni - Magistratura, Asl, Servizi sociali, Polizia giudiziaria - hanno iniziato a parlare con la stessa lingua e hanno realizzato o almeno messo in cantiere iniziative concrete di assistenza alle vittime e, laddove possibile, di prevenzione, attività questa che deve passare attraverso un messaggio di comunicazione che non sottolinei solo l’aspetto repressivo ma veda un vero salto di qualità iniziando a coinvolgere gli adolescenti anche dentro le scuole. Cultura del rispetto e cultura della tolleranza come momenti necessariamente precedenti alla conseguente cultura della attribuzione della responsabilità e della pena che è compito della Magistratura.
In Italia si registrano circa 150 femminicidi l’anno, le violenze fisiche e psicologiche non si contano. Ma si pensa agli orfani, 1600 fino allo scorso anno, per cui sono necessarie misure specifiche, per garantire il diritto allo studio e all’avviamento al lavoro. Per questo il governo nel marzo del 2017 ha iniziato un percorso di legge. La norma consentirebbe il patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dal reddito. A tutela del diritto di risarcimento degli orfani, il pubblico ministero ha l’obbligo di richiedere il sequestro conservativo dei beni dell’indagato. E in sede di condanna, il giudice deve assegnare ai figli della vittima a titolo provvisionale una somma pari almeno al 50 per cento del presumibile danno.
Un importante convegno, svoltosi recentemente a Tivoli sul tema “Vittime di reato. Mai più sole”, che ha visto la presentazione di una valida iniziativa congiunta tra l’associazione Differenza Donna Onlus, alcuni Comuni del Lazio, l’assessore regionale Alessio D’Amato, la Asl Roma 5 e la Procura della Repubblica guidata dal dottor Francesco Menditto, è stata l’occasione per rivolgere alcune semplici domande, più da donna e cittadina piuttosto che da cronista, al dottor Giovanni Salvi, Procuratore generale della Corte di Appello di Roma, a margine del suo interessante e giuridicamente rilevante intervento al convegno.
Possiamo chiarire un punto di interesse di chi ci legge, per motivi di cronaca, riguardo alle violenze, specialmente di tipo domestico, che vengono spesso taciute per le motivazioni più varie. Una violenza subita 20 anni fa è perseguibile o no?
Dipende dalla gravità del reato. Infatti si prevedono tempi di prescrizione maggiori o minori a seconda del fatto. In alcuni casi si può procedere, in altri casi purtroppo la prescrizione chiude ogni possibilità. A volte dei fatti vengono fuori dopo molti anni perché la donna ha difficoltà a parlarne. Ci saranno problemi di riscontri e di prove non facili da ottenere in relazione a fatti che emergono dopo molti anni. La prescrizione vale per le violenze delle donne come per qualunque altro reato.
Al di là del gossip, parliamo di una situazione lavorativa. Se una donna denuncia un maltrattamento sessuale entro i 6 mesi può farlo, dopo i 6 mesi è inutile che denunci. Però così un datore di lavoro può anche regolarsi, ad esempio in materia di licenziamento.
Non è che si possa regolare. La facoltà di proporre querela è fatta appositamente a tutela della donna, trattandosi di un interesse molto privato rispetto a casi dei quali si procede d’ufficio e dunque alla donna è lasciata la libertà di decidere se querelare o meno.
È difficile stabilire se quando si denuncia una violenza, a meno che non ci siano fatti eclatanti, supportati da prove, non si possa cercare invece di approfittarne per ottenere benefici economici o di visibilità?
Questi processi sono più difficili di altri da investigare perché riguardano fatti personalissimi, però non si sottraggono alle regole probatorie di ogni procedimento. Questo vale per qualunque cosa, non solo nel caso della violenza sulla donna, anzi è sbagliato forse porla in questi termini, perché sembra quasi una sorta di presunzione di finalizzazione della denunzia ad altro interesse. Capita in tutto, anche una denunzia di furto: un soggetto può fare una falsa denunzia per avere altri benefici, per lucrare sull’assicurazione, ad esempio. Si guarda con attenzione, con molta cautela.
Grazie signor Procuratore per la sua determinazione ed il suo coraggio. Alla cronista rimane un bel po’ di rimpianto per non essere riuscita ad ottenere qualche altro minuto. Ma visti i suoi impegni devo riconoscere che il tempo era tiranno e la sua scorta molto professionale.
Aggiornato il 18 aprile 2019 alle ore 17:00