Relazione garante dei detenuti: la drammatica situazione delle carceri italiane

Il garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, durante la sua relazione annuale al Parlamento sullo stato delle carceri italiane, non ha lasciato adito a dubbi facendo una panoramica impietosa su tutti i fronti. A partire dal sovraffollamento in tutte le 191 strutture del territorio. Se infatti i posti regolamentari sono 46.904, gli istituti di pena italiani ospitano ad oggi 60.512 persone: 13.608 in più rispetto a quanto prescritto dalla stessa legge. Ma il vero paradosso italiano consiste nel fatto che mentre nell’ultimo anno è diminuito il numero di persone finite in carcere (887 in meno), il numero di detenuti, nello stesso periodo, è aumentato di 2.047 unità, con “un andamento progressivo crescente e preoccupante” che “si riverbera sulle condizioni di vita interna e sul sovraffollamento, che non è una fake news”. Perché? Perché sono diminuite le possibilità di uscita e di accesso alle pene alternative.

Il garante, nel sottolineare i numeri, ribadisce che “nel luogo di ricostruzione, o a volte di costruzione, del senso di legalità non possono essere fatte vivere situazioni che ledono la legalità stessa”.  E aggiunge che “l'attenzione geometrica alla 'cella' non deve far perdere il principio che la persona detenuta deve vivere la gran parte della giornata al di fuori di essa impegnata in varie attività significative. Il nostro modello di detenzione continua, al contrario, a essere imperniato, culturalmente e sul piano attuativo, sulla permanenza nella 'cella', così vanificando la proiezione verso il dopo e il fuori”. Palma ricorda anche il diritto alla dignità che dovrebbe valere per tutti “ogni persona, nativa o straniera, libera o ristretta, capace o meno di intendere o in qualsiasi altra condizione”. È proprio a questo diritto che dovrebbe corrispondere l’obbligo di garantire “la maggiore autodeterminazione possibile nei limiti dati dalla sua condizione e nel contesto dei valori e principi che la nostra Costituzione tutela”. Inoltre, la percezione di insicurezza “non può essere semplicemente assunta, da parte di chi ha responsabilità istituzionali, come un dato, fisso, ingiudicabile; non può costituire il criterio informatore di norme né di decisioni amministrative”.

La relazione passa poi ad analizzare un’altra urgenza: il tasso di suicidi in carcere. Nel 2018 infatti sono stati 64 contro i 50 del 2017. Di questi, 37 erano in attesa della pena definitiva mentre 22 attendevano il primo grado di giudizio. Questi primi tre mesi del 2019, poi, contano già 10 persone che si sono tolte la vita. 

Palma affronta anche la questione dei rimpatri legata ai migranti: “Delle poco più di quattromila persone transitate nei Centri di permanenza per il rimpatrio nel corso dell'anno, soltanto il 43 per cento è stato effettivamente rimpatriato: un valore questo che è rimasto su scala analoga nel corso degli anni”. Infatti il 57 per cento delle persone sono uscite dai Cpr per la mancata convalida del trattenimento da parte dell'Autorità giudiziaria, per la scadenza dei termini del trattenimento o perché hanno richiesto protezione internazionale.

Lo scorso anno, sottolinea il Garante, con il decreto sicurezza, sono stati nuovamente allungati i tempi del trattenimento nei Centri, ma il fatto che i numeri dei rimpatri siano gli stessi nel corso degli anni prova “la mancata correlazione tra durata della privazione della libertà ed effettività della sua finalità”.

Palma esprime anche riserve sulla sperimentazione dei Taser: “Dal punto di vista della utilità dell'introduzione del Taser, solo se il suo impiego farà diminuire il ricorso alle armi da fuoco e al contempo garantirà la sicurezza di tutti gli attori coinvolti, si potrà dire che la sperimentazione avrà avuto esito positivo. Rimangono, infatti, le riserve e le cautele già espresse in passato”. 

Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha concluso la relazione sottolineando l’importanza del linguaggio: “La sofferenza, sia essa la risultante di proprie azioni anche criminose, del proprio desiderio di una vita diversa e altrove, della propria vulnerabilità soggettiva, merita sempre riconoscimento e rispetto. Merita un linguaggio adeguato, soprattutto da parte di chi ha compiti istituzionali. Ben sapendo che il linguaggio è il costruttore di culture diffuse e l'espandersi di un linguaggio aggressivo e a volte di odio, costruisce culture di inimicizia che ledono la connessione sociale e che, una volta affermate è ben difficile poi rimuovere”. “Proprio sul linguaggio - sottolinea Palma - vorrei che concentrassimo tutti noi, da punti diversi di responsabilità, il nostro impegno. Ben sapendo che per il ruolo che ricopriamo il nostro linguaggio ha un valore ancora più pregnante perché da esso traspare la capacità di non perdere la dimensione umana che è al fondo dell'azione di chi ha compiti di regolazione, legislazione, amministrazione, controllo”.

Il presidente della Camera Roberto Fico, a fine relazione, ha richiamato il “ruolo di rieducazione sociale affidato alla pena, sancito dalla Costituzione”: “Sul divieto di tortura e di trattamenti degradanti l'Italia purtroppo non ha ottemperato pienamente a obblighi costituzionali e internazionali. Il sovraffollamento delle carceri diventa una pena aggiuntiva, su questo i miglioramenti sono stati timidi e parziali in questi anni”. “Questo dato - sottolinea Fico -impone alle Istituzioni, con urgenza, l'adozione di misure risolutive che restituiscano la dignità alle persone detenute. Misure che contemplino la riduzione della popolazione carceraria attraverso opportuni interventi sul codice penale. Misure che assicurino, anche e soprattutto, che la pena sia uno strumento per agevolare un reinserimento sociale e non una condanna ulteriore alla esclusione e marginalizzazione e quindi alla probabile recidiva.  Migliorare le condizioni di chi sconta una pena in prigione non è un atto di indulgenza verso chi ha commesso reati. Restituire alla società una persona migliore rispetto a quella che ha fatto il suo ingresso in carcere, che abbia piena consapevolezza della sua dignità e dei suoi diritti, è il migliore antidoto per prevenire che essa torni a delinquere”.  

A tutte queste belle ed importanti parole aspettiamo impazienti che inizino a seguire i fatti.

Aggiornato il 27 marzo 2019 alle ore 17:52