Essere medico oggi, ne parla il Rettore Eugenio Gaudio

L’attuale clima di violenza che colpisce spesso i medici e gli operatori sanitari, non scoraggia i tanti giovani che sognano di indossare il camice bianco. Appena pochi giorni fa in 67mila si sono presentati nelle varie università italiane per sostenere il test di ingresso a medicina, che pare sia stato più complicato degli anni precedenti. Sebbene ci sia una diffusa carenza di professionisti della salute e che nei prossimi anni sembra che in diverse discipline verranno a mancare molte professionalità specialistiche, non si fanno sconti a quella che potrebbe essere la nuova linfa che va a rimpinguare il numero di professionisti che si va sempre più assottigliando, rischiando così di non aver più garantito in un prossimo futuro quel benessere sociale, le cure, cui siamo abituati. Fra i laureati, invece, nel corso degli ultimi anni sono andati deserti molti bandi di concorso in diverse Asl del Paese, molte del nord, pur proponendo interessanti compensi, in svariate specializzazioni quali l’ortopedia, la medicina generale, la radiologia, la pediatria e la medicina di pronto soccorso. Quanti dei nostri laureati vanno all’estero per cercare lavoro, quanti ricercatori vanno via perché in Italia guadagnano un quarto di quanto vengono pagati in altri Stati. Noi li formiamo e un altro Paese gode della professionalità acquisita con i nostri investimenti.

Ma di tutto questo ne parliamo con un’autorità, il Magnifico Rettore dell’Università “La Sapienza” di Roma, il professor Eugenio Gaudio, già Ordinario di Anatomia Umana, che ha uno spaccato di vita straordinario da cui attingere per farci comprendere meglio cosa sta accadendo e se ci sono margini per porvi rimedio.

I problemi sono diversi, partirei dal numero programmato – sostiene il Rettore – personalmente ritengo sia indispensabile per garantire una formazione di medici qualificati. Quando io stesso ero una matricola eravamo 4500 iscritti, nel giro di pochi anni gli studenti di medicina sono decuplicati. Come si poteva frequentare tutti adeguatamente in quella modalità? Col numero aperto la gran parte degli studenti non riusciva nemmeno a visitare un paziente, e molti si sono laureati in maniera un po’ sommaria. Per formare un medico competente nel terzo millennio c’è bisogno di adeguate strutture. Il diritto allo studio non è solo il diritto di iscriversi, ma è anche il diritto a frequentare in maniera adeguata, tenendo presente che l’Università ha perso il 20 per cento di finanziamenti negli ultimi 10 anni.

Numero programmato in base a cosa, come e chi stabilisce il numero programmato?

In base alla disponibilità degli atenei di accogliere gli studenti, al numero dei docenti, dei posti in aula, dei posti letto su cui esercitare la pratica clinica professionalizzante che è necessaria per la laurea e in base a questo si forma l’offerta formativa dell’università che è attualmente di circa diecimila posti l’anno e che attualmente anche il presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) ha dato la disponibilità a lavorare per farla aumentare se necessario. Tenendo presente che il numero programmato viene dal convergere di tre valutazioni: quella delle università che danno le disponibilità strutturali, quella del ministero della Salute e delle regioni che valutano il turnover dei medici del Sistema Sanitario Nazionale (Ssn), oltre a quello della Federazione dell’Ordine dei Medici. Questi numeri messi insieme ricavano quel numero programmato in base a disponibilità ed esigenze. In realtà oggi sembrerebbe che il problema non sia tanto il numero programmato, necessario per la qualità e che va calibrato bene in base alle esigenze.

Veniamo all’altro punto nodale quindi, la specializzazione. Far laureare un medico non è sufficiente, si deve anche specializzare. Si tratta di 10/11 anni di studi complessivamente, un grande investimento per le famiglie e per lo Stato.

Infatti, il numero programmato ritengo assolva a due funzioni: uno di garantire la qualità della formazione e poi che dopo la formazione ci sia l’occupazione. Un medico disoccupato comporta un’ulteriore patologia. Parliamo di “imbuto formativo”, poiché mentre oggi licenziamo più o meno novemila laureati l’anno, il numero delle borse o meglio dei contratti per le scuole di specializzazione, indispensabili per entrare nel Sistema sanitario nazionale (Ssn), sono notevolmente di numero più ridotto. Per fare il neurologo, il cardiologo, il radiologo bisogna avere la specializzazione, questo garantisce qualità per il paziente e appropriatezza anche per l’uso delle risorse e lo sottolineo perché qualcuno mette in dubbio questa necessità. Nel nostro sistema moderno abbiamo bisogno di alta qualità; tutti la richiediamo, la vogliamo per noi e la dobbiamo garantire per tutti. L’imbuto formativo esiste perché a fronte della necessità di avere specialisti per il Ssn, le borse di studio o meglio i contratti di formazione sono numericamente inadeguati perché un anno sono stati 4500, un anno 5000, un anno 6000. A fronte di 9mila laureati, ovviamente ci sono state tre o quattromila persone, a seconda degli anni, che sono rimaste fuori. A questo bisogna aggiungere un certo numero di medici di medicina generale. Altri mille, millecinquecento.

Chi eroga queste borse di studio o contratti di formazione?

Per quanto riguarda i contratti di specializzazione c’è un fondo ministeriale che copre la gran parte, poi intervengono le regioni che possono contribuire con borse. La richiesta è al ministero, quindi al governo e alle Regioni di incrementare i fondi. Con poche decine di milioni di euro si può assicurare un numero di borse che sia di almeno 7/8mila in più e che garantiscano quindi questa continuità, ovviamente distribuite in maniera opportuna, nelle specialità dove servono. Ad esempio per la medicina d’urgenza che è deficitaria e nessuno vuole più andare in Pronto soccorso, o per gli anestesisti, per i pediatri.

Chi resta fuori dalla specializzazione cosa fa?

Fa il corso di medicina generale e pure lì ci sono diversi problemi. Oggi è un corso regionale, non è un titolo accademico. Noi abbiamo proposto che diventi una specializzazione triennale che abbia una dignità accademica e questo è voluto anche dai medici di medicina generale. Lì c’è pure un problema di retribuzione, perché il periodo di formazione è retribuito molto meno rispetto agli altri specializzandi. Quindi l’altro problema è di adeguare la formazione dei medici di medicina generale nel percorso di formazione, trasformando il corso di formazione in un corso di specializzazione triennale con adeguata retribuzione.

Quindi essendo un corso retribuito meno, non vogliono frequentarlo?

Anche. Ma anche perché la figura del medico di medicina generale nei decenni ha subìto un’involuzione. Da quello che era il medico di famiglia, una figura paterna, carismatica, che conosceva tutto di un nucleo familiare, per cui anche telefonicamente avendo l’anamnesi di tutti i componenti riusciva a risolvere un problema, oggi è un ufficio burocratico in cui si smistano ricette e si dispensano farmaci, e la gente va a farsi visitare altrove. Quindi bisogna agire sui corsi di medicina generale per riportare il valore accademico riconosciuto, opportunamente retribuito e una ridefinizione della figura del medico di famiglia che torni ad essere il vero filtro del sistema sanitario. Perché il medico di medicina generale, se messo in condizione di lavorare bene, è quello che ti evita che gli ospedali vengano saturati in maniera inappropriata, che serve in maniera più diretta e più apprezzata il paziente, che lo conosce meglio, per cui si instaura un rapporto di fiducia, un’alleanza terapeutica che è fondamentale. Non sono problematiche difficili da risolvere. Se si trovasse il modo di togliere tutti quegli aspetti di potere, di corporativismi che esistono fra ministero, università, Crui e Regioni, queste poche cose che ho detto, con un investimento di qualche decina di milioni di euro, che è già basso di per sé, ma che non è nemmeno un costo, basterebbe. Perché formando medici specialisti qualificati si consente di gestire appropriatamente il Sistema sanitario e quello che viene speso per formare medici bravi più avanti si ritrova aumentato X volte come risparmio in inadeguatezze e inappropriatezze nella gestione dei malati.

(fine prima parte)

 

@vanessaseffer

Aggiornato il 18 settembre 2018 alle ore 19:53