Mediaset e Sky: il grande intreccio

L’accordo Mediaset-Sky, firmato da Pier Silvio Berlusconi e Andrea Zappia, è un’operazione che apre le porte al cambiamento dello scenario televisivo europeo e pone le basi per fronteggiare l’avanzare dei big mondiali a partire da Amazon e Netflix.

La “pace di Pasqua”, dopo anni di contrasti tra i due vertici, disegna un quadro di prospettive economiche-industriali e di comunicazioni foriero di sviluppi interessanti sia sul piano della produzione dei programmi sia per l’allargamento della piattaforma dei clienti/ utenti.

Per i due broadcaster, al compimento di tutte le fasi che partiranno da maggio, sono preventivati vantaggi reciproci, tenuto anche conto che dal primo aprile è scattata una nuova rivoluzione che porta il digitale in tutta l’Europa. Un regolamento Ue stabilisce che gli abbonamenti ai servizi che offrono streaming di contenuti (Sky Go, Premium, Amazon, Netflix) diventano portatili in tutti i Paesi europei. Se ho, per esempio, l’abbonamento a Premium mi porto dietro la tessera di accesso e quindi posso vedere dal computer o in tv a casa di amici o parenti una serie di contenuti e servizi a pagamento. Effettuata la prova Roma-Amsterdam ho potuto constatare che l’esperimento funziona. Nell’operazione non ci sono vendite, acquisti o fusioni ma gli esperti, tecnici e legali, dei due gruppi hanno strutturato un meccanismo in base al quale i 9 canali di Mediaset Premium a pagamento si potranno vedere gratis sul satellite di Rupert Murdoch in aggiunta al bouquet di Sky, compreso il catalogo on demand.

L’intreccio prevede poi che Sky predisponga due canali ad hoc per Premium in cui verrà inserita una selezione dei suoi prodotti. Nel corso dei prossimi mesi si conosceranno meglio i dettagli dell’alleanza che coinvolgerà 4,8 milioni di abbonati Sky che in Europa ne ha 23,8 milioni e quasi 2 milioni di Premium (su Sky nove canali Premium, il ritorno di Rete 4, Canale 5 e Italia 1, due canali vetrina Sky con selezione di contenuti e a tempo da definire).

L’evoluzione della tecnologia sta cambiando il mondo della televisione da quando nel 2003 l’imprenditore australiano Rupert Murdoch lanciò anche in Italia la tv a pagamento, seguita nel 2005 da Mediaset. Le previsioni dei due gruppi erano di superare i 6,5 milioni di abbonati, fermi ormai da 3 anni, ma la crisi economica mondiale e i costi degli abbonamenti hanno impedito l’ulteriore espansione. A peggiorare i conti sono arrivati gli alti costi dei diritti televisivi delle partite di calcio e della Formula 1.

Per sport, cinema e serie tv si prospetta una gimkana del telecomando alla ricerca delle trasmissioni da vedere gratis e quelle a pagamento. La partita invece delle telecomunicazioni è ancora in pieno svolgimento: i giocatori sono i francesi di Vivendi (la causa di risarcimento promossa da Mediaset contro Bollorè per la mancata acquisizione di Premium si terrà in ottobre), Open fiber di Enel-Cdp per l’accesso alla rete a banda larga in concorrenza con Tim di Telecom Italia guidata da Amos Genish.

Nell’intreccio entrerà la parte tecnica, cioè la gestione delle piattaforme. Rientreranno in gioco le torri di trasmissione di Ei Towers e il loro valore senza contare che Sky si è alleata con Open fiber per offrire l’accesso ai suoi contenuti tramite la società della rete a banda ultra larga alternativa a Tim. Non è ancora tempo per la partita finale. Il riassetto televisivo europeo e internazionale (in campo anche Disney e 20th Century Fox) richiede tempo.

Se il sogno della pay-tv made in Italy sembra tramontato la famiglia Berlusconi, trovando l’accordo con Murdoch, continua a svolgere un ruolo imprenditoriale di rilievo, considerando che sul piano dei contenuti cinema può contare sulle società di produzione e distribuzione come Medusa e Taodue e sui film della Warner Bros e dell’Universal.

Aggiornato il 03 aprile 2018 alle ore 18:38