
“Bisogna combattere l’accidia per evitare la perdita del sapore di vivere”. È questa la tesi di don Josè Tolentino de Mendonça, il 53enne sacerdote e poeta che sta predicando gli Esercizi spirituali a Papa Francesco e alla Curia Romana ad Ariccia.
Don Josè, una delle voci più autorevoli e note della cultura portoghese, ha ricordato che “l’accidia, talvolta, ci assale e ci fa ammalare. Si tratta del contrario della sete, filo conduttore di queste meditazioni. E quando si rinuncia alla sete, si comincia a morire”.
Secondo il sacerdote, “l’accidia appare quando desistiamo dal desiderare, dal trovare gusto negli incontri, nelle conversazioni, negli scambi, nell’uscita da noi stessi, nei progetti, nei lavori, nella preghiera stessa. L’accidia si manifesta quando diminuisce la nostra curiosità per l’altro, la nostra apertura all’inedito e tutto ci suona come un riscaldato dejà vu che avvertiamo come un peso inutile, incongruente e assurdo, che ci schiaccia”.
Don Josè cita Kierkegaard: “Sembra che la vita che io vivo sia quella di un’altra persona”.
Secondo il sacerdote, “la contemporaneità ha medicalizzato l’accidia affrontandola come una patologia che va trattata dal punto di vista psichiatrico. Anche dentro un quadro clinico è evidente che l’accidia o gli stati depressivi non si possano curare solo con le “pastiglie” ma devono coinvolgere nella cura la persona intera. Ci sono molte sofferenze nascoste la cui origine dobbiamo scoprire che si radica nel mistero della solitudine umana”.
Aggiornato il 11 aprile 2018 alle ore 10:27