Quando scopri che la violenza ti apre porte chiuse a doppia mandata, tutto appare semplicemente in automatico, ma è una visione parziale e incompiuta, perché ogni volta che fai del male a qualcuno, oltre che a te stesso, per terra rimangono i tanti pezzetti di noi stessi dimenticati, abbandonati, disperatamente perduti.
Lo strumento della violenza porta cognome di utilità, di interesse, di difesa, di attacco preventivo, di sopruso, di prevaricazione, di azzeramento della dignità dei più deboli, dei più indifesi, di chi non può difendersi. A Rimini in quattro a mettere in scena una violenza carnale da fare impallidire quelli di “Arancia Meccanica”. A Desio calci, insulti, botte a ripetizione, fino a fare diventare un adolescente, una cosa, peggio, un rifiuto gettato nel cestino.
In strada, al pub, a scuola, in classe, quelli dal bicipite pieno menano il solito “sfigato“ di turno, gli altri se la danno a gambe, oppure, assai peggio, filmano con lo smartphone. Allora tutti a gridare, a fare la voce grossa, a condannare questo e quello, a richiedere condanne esemplari, punizioni e sanzioni da vergare nuova giurisprudenza. Con la conclusione più che mai scontata di vivere in una società dove l’indifferenza non fa più prigionieri.
Aggiornato il 13 settembre 2017 alle ore 08:52