
Perché com’è vero che ci fu una “stagione delle stragi”, venticinque anni fa, è vero anche che, sempre un quarto di secolo fa - e pochi lo ricordano e tanti fanno finta di non ricordarlo - iniziò la “stagione dei suicidi”.
Il 2 settembre è caduto l’anniversario del suicidio di Sergio Moroni, che inaugurò quell’infausto, drammatico periodo, sparandosi in bocca con un fucile nella cantina del condominio bresciano nel quale abitava. Dal 1992 al 1994 si contarono più di 30mila indagati, 3mila arrestati, 500 parlamentari inquisiti, 47 suicidi. Sì, quarantasette! Un meccanismo diabolico, un cingolato in grado di calpestare ogni tipo di diritto, reso possibile da un barbaro e infame abuso della carcerazione preventiva per estorcere confessioni agli indagati, delazioni sotto tortura. Reso possibile, inoltre, da un’autentica violazione del segreto istruttorio, una vergogna che consisteva in ciò: l’indagato fisicamente marciva in carcere, mentre la sua immagine, la sua storia, i suoi affetti, la sua reputazione, la sua dignità, venivano calpestate, vilipese, distrutte, spazzate via da uragani mediatici alimentati dalle indiscrezioni distillate - con preciso, cinico e incivile calcolo ad hoc - dalle procure.
Nel 2017 - dati alla mano, secondo “Transparency International Italia” - il Belpaese è - usando una metafora calcistica - in piena zona retrocessione, terzultimo in Europa per corruzione percepita, peggio di noi solo Grecia e Bulgaria. I “mariuoli”, obiettivo del pool della vergogna, non sono stati debellati, anzi, sono aumentati vertiginosamente. L’unica differenza è che a quel tempo vi era una netta distinzione tra i giustizialisti (prendendo in prestito e riadattando un’espressione di Leonardo Sciascia, autentici “professionisti del fondere la chiave”, colpevoli o innocenti poco importava) e gli ultimi mohicani garantisti; adesso invece tutto è mescolato ed il confine è ormai irriconoscibile, incerto e dunque assai pericoloso. Poiché i Robespierre di un tempo sono diventati i finti Cesare Beccaria di ora, i più pericolosi, i più subdoli.
Ma è bene che si ricordi questa storia, con la lucida emotività che merita, accompagnata dalla speranza che una barbarie simile non accada mai più in un Paese auto sedicente “civile”. Si ricordino Sergio Moroni, Gabriele Cagliari, Raul Gardini (nella foto) e altre quarantaquattro persone che in quegli anni si tolsero la vita, quando il porre fine alla propria esistenza rappresentava l’unico, nonché ultimo, gesto di libertà esperibile.
Aggiornato il 05 settembre 2017 alle ore 10:06