
L’Amore è un diritto. Anche se non è giuridicamente tutelato. Un diritto naturale. Così come lo è il diritto alla felicità. Due aspetti del tessuto emozionale non contemplati dalla territorialità giuridica. In fondo tutti nasciamo da un atto d’amore, il più alto e il più nobile.
Lo stesso che ha donato a Chris Gard e Connie Yates il sacrosanto diritto di amare loro figlio, Charlie. Il piccolo ha solo 10 mesi ed è affetto da una malattia genetica: la sindrome da deplazione del Dna mitocondriale, una malattia genetica che come la malavita ti condanna; ma la sua anima è come se ne avesse 100 e la sua storia è più densa di un romanzo di Dickens nella sua fosca Londra. Charlie è ricoverato al Great Ormond Hospital di Londra e viene tenuto in vita grazie a una macchina che lo sostiene artificialmente.
L’amore è caparbio, di più se si tratta di un figlio, e i due genitori non si arrendono alla sentenza decretata dai medici, secondo cui le sofferenze per il bambino sono enormi, e avvalendosi del child’s best interest” - ossia, l’interesse superiore del bambino - è opportuno staccare la macchina. Ad avvalorare questa scelta inetta, rendendo più drammatica la storia è prima la Corte suprema inglese e poi la Corte europea dei diritti (dis)umani, e come una doppia lama autorizzano a staccare la spina delle macchina, che come un biberon nutre Charlie. Così la forbice ottusa del diritto che porta in sé un rovescio malefico sancisce in luogo dei genitori un principio che non dovrebbe essere sottratto alla famiglia, se non nel caso di incapacità. Insomma, il Dna dell’anima del piccolo è sub iudice. L’autorita giuridica non ha etica né poetica, ma se si parla d’amore dovrebbe astenersi da giudizi eticamente rilevanti ed emotivamente devastanti.
Amare è la fibra ottica delle emozioni primordiali, l’autostrada dei sentimenti più intimi e inspiegabili a cui non ci si può sottrarre, si possono solo ascoltarli, come fanno il padre e la madre di Charlie; loro sentono il cuore, è il bene di quel figlio e decidono di appellarsi a una cura sperimentale negli Stati Uniti. Charlie è già un eroe, la sua vita è ben oltre la sua esistenza materiale e gli sono bastati soli 10 mesi di vita per dare esempio a una società che muore di troppo diritto. L’amore non è un vuoto a rendere.
Aggiornato il 02 marzo 2020 alle ore 15:02