Combattere i batteri cattivi con quelli buoni: inizia l’Era post-antibiotica

Combattere i batteri “cattivi” che provocano troppo spesso infezioni, a volte anche mortali, a chi è costretto a ricoverarsi in ospedale, con quelli “buoni” , i cosiddetti “probiotici”? Analogamente a quanto avviene nell’intestino umano dove alcuni scienziati come Gerson sono convinti che esista anche una specie di secondo cervello? Un po’ come già accade in natura per evitare gli anticrittogamici e i pesticidi?

Nel mondo sta nascendo la cosiddetta Era dei post-antibiotici. Scelta obbligata dal troppo uso e abuso degli antibiotici con il risultato di rendere molti batteri di quelli cattivi antibiotico resistenti. Se poi a questo si aggiunge la carenza attuale della diagnostica ospedaliera italiana, ossia del fare esami tempestivi quando una persona si prende l’infezione, si capisce il perché dei 6mila decessi annui da infezioni che si prendono in seguito a complicanze dopo un ricovero. Il principio della “guerra tra batteri” è semplice: i batteri buoni combattono contro quelli cattivi, altrimenti lasciati da soli ad aggredire l’organismo umano, e in pratica impediscono lo svilupparsi delle infezioni. E questo perché i batteri cattivi non sono in grado di dirigere il potenziale patogeno contro l’uomo in quanto troppo impegnati a lottare su un altro fronte: quello che mette a rischio la loro stessa sopravvivenza a causa dell’azione dei batteri buoni.

Peraltro, in Europa, è stato stimato che circa 4 milioni di pazienti ogni anno contraggano un’infezione correlata all’assistenza sanitaria, con circa 37mila decessi direttamente ascrivibili alle Ica (acronimo tecnico per “infezioni correlate all’assistenza”, ndr) e 110mila decorsi infausti in cui queste infezioni sono come minimo una concausa. In Italia si calcolano annualmente da 450 a 700mila casi di suddette infezioni da ricovero in ospedale che sono direttamente responsabili dei suddetti circa 5mila decessi. Quando non sei o settemila. Se fosse possibile prevenirle con corrette misure di controllo una quota annuale pari a circa il 20-30 per cento di tali “complicanze” sarebbero potenzialmente evitabili. Questo vorrebbe dire circa 135-210mila infezioni in meno. E 1000-2mila vite salvate.

Oltre alla salute c’è il problema dei costi per il Servizio sanitario nazionale, già martoriato da anni da una dissennata politica di cosiddetti tagli lineari. Un’infezione contratta durante la permanenza in ospedale porta infatti ad un incremento notevole dei costi, a causa del prolungamento del ricovero e della terapia antibiotica, del maggior ricorso ad esami di laboratorio e dell’aumento del carico di lavoro del personale sanitario. Un solo caso di infezione ospedaliera implica un prolungamento medio della degenza di 15 giorni, con aumento della spesa correlata stimato tra 5mila e 50mila euro. In pratica, una follia.

Il mondo della ricerca scientifica, i cui primi e importanti risultati verranno presentati oggi in un convegno che si terrà al Centro congressi di piazza della Pilotta 4 a Roma, intitolato “Superbugs, strumenti di intervento nell’era post antibiotica” (organizzato dalla onlus “Giuseppe Dossetti – I valori” di cui è segretario Claudio Giustozzi), si sta quindi organizzando per superare l’Era degli antibiotici. E l’ipotesi più accreditata è quella, per l’appunto, di fare neutralizzare i batteri cattivi da altri batteri, che per convenzione definiremo buoni in quanto non hanno alcuna valenza infettiva per le persone e per i luoghi. Come già avviene nell’agricoltura “Bio” dove si combattono gli infestanti con altre piante e non con i pesticidi. E come avviene all’interno dello stesso intestino dell’uomo. Studi recenti hanno dimostrato che le superfici costituiscono un serbatoio per la diffusione dei microrganismi. Di conseguenza, l’ambiente incide enormemente “nel processo di contaminazione del paziente, contribuendo alla trasmissione dei patogeni nosocomiali ed aumentando il rischio di contaminazione crociata fra degenti” .

Tutto questo gli antibiotici tradizionali non riescono a combatterlo più. Perché i batteri sono ormai diventati resistenti alle dosi consigliate e il sovradosaggio non è affatto auspicabile per la salute dei pazienti. Oltre che molto costoso per le casse dello Stato. E quindi? Una ditta che, tra le altre, studia questi batteri buoni che uccidono quelli cattivi, insieme all’Università di Ferrara ha finanziato una ricerca mirata su questi batteri antibiotico resistenti. In essa si legge tra l’altro che “molteplici studi hanno dimostrato che più del 50 per cento delle superfici nelle stanze di degenza, se non igienizzate in modo adeguato, possono presentare un alto livello di contaminazione da parte di microrganismi patogeni ospedalieri come lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (Mrsa), la cui presenza è stata rilevata su 1-27 per cento delle superfici, con un picco del 64 per cento in reparti per il trattamento di gravi ustionati” .

Inoltre, “altri microrganismi quali Enterococchi Vancomicino-Resistenti (Vre), Pseudomonas, Acinetobacter, Clostridium difficile e virus (ad esempio il Norovirus), mantengono capacità infettiva per settimane” .

Non basta, “i batteri sporigeni come Clostridium difficile possono sopravvivere in forma di spora per mesi sulle superfici inanimate e asciutte” .

Come a dire: hai voglia a lavare, a passare l’alcool e quant’altro. Le superfici rimangono potenzialmente infette. Nella ricerca si sostiene che le infezioni “che si manifestano più frequentemente tra i pazienti ricoverati riguardano in particolare il tratto urinario, polmonare, gastrointestinale, del sito chirurgico e del circolo sanguigno”.

Pertanto, “durante le analisi della contaminazione ambientale, sono stati posti in evidenza soprattutto i microrganismi patogeni frequentemente isolati da questo tipo di infezioni”. Inclusi gli “Enterobacteriaceae, la Klebsiella, lo Staphylococcus aureus, lo Staphylococcus, lo Pseudomonas, la Candida, il Clostridium difficile e l’Acinetobacter...” .

Come funziona allora questa cosa dei batteri buoni che combattono e debellano quelli cattivi? La parola chiave è “probiotici”, cioè i batteri analoghi a quelli che costituiscono la flora anche dell’intestino e che si occupano della digestione, tra le altre cose. Utilizzandoli appositamente trattati nella disinfezione degli ospedali questi batteri hanno il vantaggio di non inquinare l’ambiente come la maggior parte dei disinfettanti e di avere un’efficacia che si protrae nel tempo. È la natura che come al solito inventa, meglio contiene, i rimedi migliori per arginare le malattie.

Aggiornato il 14 giugno 2017 alle ore 16:21