Volonté, Levi e l’ombra di Eboli su Torino e Bologna

Mentre le dita battono sulla tastiera per denunciare la vile aggressione alla sede de La Stampa a Torino da parte di manifestanti che confondono l’informazione con il nemico, e la disarmante “censura” del corso di Filosofia per ufficiali all’Università di Bologna per un paventato rischio di “militarizzazione”, un’eco lontana ma lancinante risuona nelle stanze della coscienza civile: quella dell’eterno fascismo italiano.

Non è un fantasma storico a bussare alla porta, ma una patologia endemica, lucidamente dissezionata quasi cinquant’anni fa da Gian Maria Volonté nel capolavoro cinematografico di Francesco RosiCristo si è fermato ad Eboli (1979), tratto dal romanzo autobiografico di Carlo Levi.

IL GRIDO DI VOLONTÉ: “L’ETERNO FASCISMO ITALIANO”

La frase, che nel film viene recitata con la voce fuori campo di Volonté, che interpreta Carlo Levi confinato in Lucania, è una delle più agghiaccianti e profetiche della nostra cultura. Non si tratta di una condanna del regime fascista storico, ma di una diagnosi sulla natura profonda e immutabile di una parte della società italiana.

Volonté/Levi non parla solo del Ventennio, ma di qualcosa di ben più radicato: “Sono convinto che in un prossimo futuro, forse, quando l’Italia sarà uscita dal fascismo, o da un altro regime, le vecchie ideologie... torneranno a galla e i nuovi piccoli borghesi, i quali non avranno mai avuto il tempo e la capacità di operare di violenza, finiranno per riprodurre le stesse ideologie piccolo-borghesi, perpetuando, e magari peggiorando, sotto nuovi nomi e nuove bandiere, l’eterno fascismo italiano”.

Questa “eternità” non è fatta di camicie nere e saluti romani (che pure, a tratti, riaffiorano), ma di qualcosa di molto più insidioso: l’incapacità di sopportare il dissenso, l’ossessione per l’ordine imposto dall’alto, la tendenza a delegare il pensiero critico a conformarsi. Insieme alla normalizzazione della violenza - non solo quella fisica, ma quella simbolica e intimidatoria contro chi non si allinea - e all’idea che un problema complesso si risolva eliminando il corpo estraneo (il giornalista, il militare, il pensatore critico).

LA TERRIBILE ATTUALITÀ: TORINO E BOLOGNA

Oggi, quell’eco diventa un grido d’allarme, tragicamente attuale negli episodi che hanno scosso il Paese.

1) L’attacco a La Stampa: la violenza contro l’informazione. L’aggressione alla redazione di Torino, con atti di vandalismo e intimidazione, non è un semplice gesto di protesta, ma un attacco squadrista nel senso più puro del termine: la volontà fisica di zittire una voce considerata scomoda o complice. Quale fascismo si manifesta qui? Il fascismo dell’intolleranza: la pretesa di un manipolo di imporre il proprio pensiero con la violenza, negando il ruolo essenziale della stampa libera, anche quando critica. L’individuazione di un “nemico interno” (il giornalista) su cui riversare la frustrazione, esonerandosi dall’analisi della realtà. L’idea che il ragionamento e la documentazione possano essere sommersi dal letame (letteralmente, in questo caso) e dalla minaccia.

2) La censura a Bologna: il fascismo della paura e del pregiudizio. Nella città forse più simbolica per la resistenza culturale e accademica, il rifiuto di un corso di Filosofia per ufficiali, per timore di una “militarizzazione” dell’Ateneo, rivela un’altra, più sottile, ma non meno grave, forma di fascismo: il fascismo ideologico “al contrario”. Dove la chiusura dogmatica vince e il pregiudizio impedisce il dialogo tra mondi apparentemente distanti (l’uniforme e il pensiero critico). Se la Filosofia ha la missione di educare al pensiero laterale e al dubbio, chi più ha bisogno di essa di coloro che operano con le estreme conseguenze del potere?

Quando l’isolamento diventa paranoico per la paura che il confronto contamini: è il rifiuto del “meticciato” intellettuale che, in fondo, è l’opposto dello spirito democratico. C’è il timore di uscire dagli schemi, di dare strumenti di pensiero critico a chi detiene la forza, perpetuando così, involontariamente, un modello di “soldato senza testa” che, nel lungo periodo, è il brodo di coltura di ogni autoritarismo.

RIFLESSIONI: COME SPEZZARE L’ETERNITÀ?

La lezione di Carlo Levi, resa potente dall’interpretazione di Volonté, è che l’eterno fascismo italiano non risiede in un solo schieramento politico, ma è un vizio antropologico e culturale che rischia di riemergere “sotto nuovi nomi e nuove bandiere”. Oggi, i nuovi nomi sono le cause nobili strumentalizzate per la violenza, le nuove bandiere sono le chiusure ideologiche tra università e istituzioni. Il risultato è lo stesso: l’attacco alla libertà di pensiero e di espressione.

La riflessione che dobbiamo trarre è amara e urgente: l’unica risposta al fascismo eterno non è la repressione, ma la cultura come ponte e come scudo.A Torino, difendiamo il diritto di esistere e di raccontare, senza paura del letame o delle minacce. A Bologna, difendiamo il diritto di dialogare e di contaminare, abbattendo i muri tra le culture. Il grande cinema, la grande letteratura, ci hanno messo in guardia. Starà a noi decidere se l’Italia di oggi si fermerà, come Cristo a Eboli, paralizzata dalla sua eterna, autoimposta, maledizione, o se saprà trovare la forza per muovere il pensiero oltre la paura e la violenza.

Aggiornato il 04 dicembre 2025 alle ore 12:24