La violenza di genere tra tifoserie politiche e i silenzi degli scienziati

A proposito di Carlo Nordio “giustificazionista”

“Mostratemi un neurone (o un cervello) che determini la genesi di un comportamento in maniera indipendente dalla somma degli eventi che riguardano il suo passato biologico e avrete dimostrato l’esistenza del libero arbitrio”. Così scrive il neuroscienziato Robert Sapolsky nel suo Determinati. Biologia, comportamento e libero arbitrio (Roi Edizioni, Milano, 2024, pagina 25). Tale dimostrazione sarebbe però impossibile in quanto ogni individuo non è “altro che l’esito delle interazioni tra la biologia e l’ambiente che sono occorse in precedenza” e queste interazioni sono assolutamente al di fuori del suo controllo dato che “ogni influenza pregressa consegue, senza soluzione di continuità, dagli effetti indotti dalle precedenti” (pagina 62). In tale rigida sequenza, continua Sapolsky, non vi è nessun punto in cui si possa inserire il libero arbitrio. Tutti noi non saremmo altro che il frutto ultimo di fenomeni biologici e ambientali, il cui abbrivio si perde nella notte dei tempi, fenomeni di cui non portiamo responsabilità alcuna e che ci costringono fatalmente e inesorabilmente a pensare ed agire in un modo piuttosto che in un altro. Solo il regno della necessità ci è dato di abitare, che quello della scelta è solo una chimera.

Non c’è bisogno però di essere deterministi così radicali come Sopolsky per accettare l’idea che le nostre azioni siano, se non dettate, quantomeno condizionate dal combinato disposto di fattori genetici e socioculturali. Destano veramente stupore allora alcune reazioni o, meglio, alcuni silenzi seguiti alle considerazioni sviluppate dal ministro della Giustizia Carlo Nordio in occasione alla recente Conferenza internazionale contro il femminicidio. Qual è il succo delle argomentazioni di Nordio? Che la violenza maschile avrebbe delle motivazioni anche genetiche e che per combattere efficacemente tale violenza la legislazione non è sufficiente ma occorre un lavoro educativo di lunga lena, a partire dall’ambiente familiare e scolastico. Una constatazione, quindi, tanto banale quanto condivisibile che un mondo dell’informazione acculturato e intellettualmente autonomo avrebbe dovuto accogliere come verità lapalissiana ma alla quale quello nostrano, costituito da troppi imbrattacarte al servizio delle opposte tifoserie politiche, ha reagito facendo il viso dell’arme.

Nulla di nuovo, beninteso, che il pendolo della malafede oscilla sempre e domani toccherà certamente a un esponente di sinistra dire qualcosa di altrettanto ragionevole e al contempo esecrabile agli occhi degli agit-prop di destra. Ciò che stupisce e rattrista, allora, non sono le reazioni di tanta parte della politica e della (dis)informazione ma il silenzio, tremebondo, del mondo della scienza. Quello della violenza di genere è un terreno oramai così incandescente e spesso refrattario ad un’analisi serenamente scientifica, da suggerire allo scienziato di battere in ritirata quando avverte che il clima canagliesco rischierebbe di marchiarlo con lo stigma infamante del giustificazionista di turno. Il discorso pubblico si è a tal punto degradato da sconsigliare di ricordare ciò che un qualsiasi studente della scuola dell’obbligo sa, e cioè che ogni comportamento umano ha, anche, cause biologiche.

Aggiornato il 25 novembre 2025 alle ore 09:48