Il sussurro inquietante: il caso Garofani e l’imbarazzo del Quirinale

Un sussurro, carpito in un luogo pubblico, che diventa un boato istituzionale. Non è la trama di un romanzo, ma la cronaca di un inciampo che agita le stanze più alte del potere e mette in forte imbarazzo il Quirinale. Il problema, sia chiaro da subito, non è il giornalismo d’inchiesta de La Verità o la penna di Maurizio Belpietro. Il dramma, quello vero, risiede nel contenuto esplosivo di una conversazione, attribuita al consigliere del presidente della Repubblica Francesco Saverio Garofani, e soprattutto nella sua mancata smentita.

LE FRASI DELLA DISCORDIA: UN “PROVVIDENZIALE SCOSSONE”

Al centro della bufera ci sono parole che, se pronunciate da un cittadino qualunque al bar, si perderebbero nell’aria. Ma Garofani non è un cittadino qualunque. È il consigliere del capo dello Stato per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa, un uomo che siede accanto al garante della Costituzione. Secondo la ricostruzione del quotidiano La Verità, Garofani, in una conversazione, avrebbe auspicato un “provvidenziale scossone” per destabilizzare l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Si sarebbe spinto a ipotizzare soluzioni politiche alternative, come la creazione di una grande lista civica nazionale per arginare l’ascesa della destra. Queste non sono semplici opinioni. Pronunciate da chi ha un ruolo di così alta consulenza istituzionale, suonano come un’inquietante interferenza, un desiderio di manovra politica che stride frontalmente con la necessaria neutralità richiesta dal suo incarico.

UNA DIFESA CHE NON NEGA E AMPLIFICA L’IMBARAZZO

La reazione politica, in particolare del capogruppo di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, è stata immediata, con una richiesta di chiarimenti. La risposta del Quirinale è stata dura e veemente, definendo “ridicole” le accuse rivolte alla Presidenza. Ma il Colle ha difeso l’istituzione, non le parole del singolo. E qui si è creato il cortocircuito. Lo stesso Garofani, infatti, rompendo il silenzio con il Corriere della Sera, non ha smentito il contenuto del dialogo. Ha invece scelto la via della minimizzazione, definendo il tutto come “chiacchiere in libertà tra amici”. Ha espresso amarezza, sentendosi “utilizzato per colpire il presidente”, e ha rivelato di aver ricevuto la solidarietà di Mattarella, che lo avrebbe invitato a “stare sereno”. Questa linea difensiva, tuttavia, è il cuore del problema. Ammettere la conversazione, pur declassandola a “chiacchierata”, conferma la sostanza dei fatti riportati dalla stampa. Per un uomo delle istituzioni, non esiste una reale separazione tra il “privato” conversare in un luogo pubblico e il ruolo “pubblico” che ricopre. La sua difesa, di fatto, non nega l’esistenza delle frasi incriminate, lasciando intatta la gravità del loro significato.

IL RUOLO DELLA STAMPA E LA RESPONSABILITÀ ISTITUZIONALE

È fondamentale ribadirlo: la stampa ha fatto il suo dovere. Una notizia di tale portata, che riguarda un consigliere del presidente e la stabilità del Governo in carica, è di lampante interesse pubblico. Il lavoro giornalistico è stato quello di verificare e riportare. Puntare il dito contro il messaggero è un vecchio e sterile espediente per distogliere l’attenzione dalla gravità del messaggio. La conversazione, peraltro, sarebbe stata ascoltata “di straforo” in un contesto conviviale, non frutto di attività illecite. Qui non si discute il ruolo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la cui figura di difensore assoluto della Carta Costituzionale rimane un faro per tutti. Si racconta, invece, di un discorso attribuito a un suo stretto collaboratore che ha dell’inquietante, perché proietta l’ombra del dubbio e della macchinazione politica su un’istituzione che dovrebbe esserne al di sopra.

LO SCENARIO FUTURO: UNA FERITA ALLA FIDUCIA

Cosa accade ora? La tempesta politica immediata potrà anche placarsi, ma l’episodio lascia una cicatrice. Alimenta la narrazione, cara a una parte politica, di un “potere altro”, di apparati che remano contro la volontà popolare espressa nelle urne. Indebolisce la fiducia nella neutralità di chi opera ai vertici dello Stato. La morale di questa vicenda è dura e incisiva: per chi ricopre incarichi di tale delicatezza, la lealtà verso le istituzioni non ammette pause, né “chiacchiere in libertà” che possano essere interpretate come trame. Ogni parola ha un peso specifico immenso. Il sussurro del consigliere Garofani è diventato una crepa nella facciata della serietà istituzionale. Un imbarazzo tangibile che il Quirinale non meritava e che interroga profondamente la coscienza di chi è chiamato a servire lo Stato, con disciplina e onore.

Aggiornato il 20 novembre 2025 alle ore 14:15