Arrivano le piogge autunnali e le strade si trasformano nel Rio delle Amazzoni in piena; all’inverno subentra l’estate e i roghi cittadini – tra la spazzatura non raccolta e le secche sterpaglie non mietute – divampano in ogni dove. Intanto i tombini sono perennemente intasati, la segnaletica – quando presente – è vecchia, scolorita e il più delle volte incomprensibile se non demenzialmente contraddittoria, le aree ricreative poche e male attrezzate, mentre ci sono interi quartieri periferici in cui dopo il tramonto la realtà si trasforma in una vera e propria scenografia da distopia post-apocalittica in cui la salvezza sembra garantita soltanto per gli eventuali fortunati possessori di mezzi blindati e cingolati.
Le strade sono quasi sempre dissestate, buie e sporche, le opere di bonifica e di disinfestazione per lottare contro l’invasione – quasi da piaga veterotestamentaria – di topi e scarafaggi sempre più rare, la cura del verde pubblico un vero e proprio miraggio se non a ridosso di importanti occasioni istituzionali, i monumenti imbrattati dal vandalismo della street art e anneriti dallo smog, i mezzi pubblici costantemente guasti e in ritardo.
Nei centri storici le cose non vanno poi meglio poiché l’attività febbrile dei Comuni si presta soltanto a farsesche e farisaiche opere di cosmetica urbana che, se non rendono impossibile la vita al normale cittadino, risultano comunque del tutto superflue, per non citare alle migliaia di cantieri disseminati ovunque per riparare tutto ciò che subito dopo la loro chiusura continuerà a non funzionare come prima della loro apertura.
A fronte di questo apparente abbandono, infatti, si assiste allibiti alla moltiplicazione spasmodica delle Ztl, alla diffusione e intrusione dissennata delle piste ciclabili in tutti gli interstizi della viabilità cittadina, alla stolida illusione della sicurezza fornita dallo sbocciare incessante di interi bouquet di telecamere di sorveglianza disseminate in ogni angolo, il tutto essendo soltanto il contorno del piatto forte: la totale e irrazionale gestione della cosa pubblica affidata ai Comuni.
Dalle Alpi Marittime a Capo Passero e dalle Dolomiti a Capo Teulada quasi tutti i Comuni, fatte salve davvero rarissime eccezioni, e trasversalmente a tutte le amministrazioni di tutti gli schieramenti politici, sono coinvolti in questo scenario di desolazione e devastazione urbana che oramai caratterizza il panorama italiano da diversi anni e che sempre peggiora giorno dopo giorno nella più totale indifferenza della classe politica, che del resto è la diretta responsabile, e la resa rinunciataria del cittadino italico medio il quale – quando non partecipa a flottiglie ideologiche e scioperi pretestuosi – è sempre troppo impegnato a godersi lo spritz del venerdì, il centro commerciale del sabato e lo stadio della domenica per interessarsi di qualcosa che abbia realmente senso come la sua vita quotidiana nei centri urbani.
Si faccia fuori subito l’alibi collettivo della carenza di fondi: chi scrive ha visitato cittadine estere che non navigano nell’oro, ma curatissime e funzionalissime, soprattutto rispettose dell’umano prima che dell’ambiente, attente ai bisogni reali del cittadino prima che alle esibizioni fantasiose e disastrose dei tecnici municipali, in cui la viabilità è a servizio del cittadino e non il contrario, in cui l’amministrazione comunale gestisce un servizio e non esercita il potere arbitrario dello “Sceriffo di Nottingham”, in cui con poco si fa tanto o comunque quel che serve senza eccessi velleitari e soprattutto seguendo il buon senso.
I Comuni, anche quelli non afflitti dal cancro dell’infiltrazione mafiosa, oramai si sono ridotti ad essere soltanto il ganglio finale della catena dell’imposizione fiscale pubblica non offrendo e non garantendo più i servizi pubblici essenziali né quei criteri minimi di efficienza dell’azione amministrativa che loro sarebbe spettante come enti di prossimità liminale con il cittadino.
Lo dimostra vieppiù la circostanza che a tutta la suddetta trasandata (dis)attività gestoria si accompagna l’incremento vertiginoso delle metodiche con cui i Comuni – dietro l’apparente efficienza della loro azione – celano il solo e unico intento di “battere cassa” rastrellando quanti più danari possibili dalle tasche degli inermi cittadini. All’inefficacia e all’inefficienza gestoria della cosa pubblica i Comuni contrappongono, tuttavia, una insolita e puntuale efficienza nel controllo degli strumenti che garantiscono loro facili entrate e facili riscossioni. Ecco quindi la comparsa assillante, per non dire totalizzante e finanche totalitaria, degli autovelox, delle ganasce, dei tutor, dei T-red, delle strisce blu, e di tutti gli altri sistemi di controllo e sorveglianza che sono predisposti formalmente per vigilare sull’ordine e la sicurezza, ma che invece servono soltanto ad una facile riscossione di massa, come la pesca a strascico offre maggiori possibilità rispetto a quella compiuta con una singola lenza.
La strada così rimane dissestata, ma presidiata dall’autovelox con l’illusione generale che la sicurezza sia finalmente garantita; la raccolta differenziata rimane inefficace, ma la telecamera contro le discariche abusive consente a tutti di fingere che l’ambiente sia realmente tutelato; il parcheggio rimane impossibile, ma l’abbaglio delle strisce blu sembra rassicurare tutti che i Comuni siano intenti a risolverlo più che ad essere interessati a intascarne i proventi di un prezzo peraltro costantemente in crescita.
Da tutto ciò si evincono almeno tre considerazioni. In primo luogo: le analisi tecniche di cui sovrabbondano le amministrazioni dei Comuni italiani non sono sufficienti a garantire la sintesi necessaria ad una buona azione politica e amministrativa. La tecnocrazia è l’oppio degli amministratori.
In secondo luogo: i Comuni non sono più l’alveo naturale di quel principio di sussidiarietà costituzionalmente sancito, ma sono divenuti centri locali di potere autoreferenziale del tutto avulso dalla realtà e dai bisogni dei cittadini. Il potere per il potere è sempre un male morale in sé e deve quindi essere fronteggiato.
In terzo luogo: un ente o un insieme di enti che si limitano per la gran parte della loro esistenza a gestire i costi di cui la loro stessa (in)attività è causa sono del tutto inutili se non dannosi, per cui non si riesce a individuare la ragione della loro sopravvivenza presente e futura. Un mezzo costoso per un fine può avere una ragione; un mezzo costoso senza scopo è privo di qualsia ragione.
Per essere sostituti da chi o da cosa è altro problema che tuttavia trova la propria causa precipuamente nella sopravvenuta inutilità e dannosità degli enti locali quali i Comuni sono divenuti. Se la politica non sarà in grado di riformare profondamente il ruolo e l’azione dei Comuni è bene cominciare a pensare ad una loro soppressione, poiché è sempre meglio tagliare un arto incancrenito piuttosto che rischiare il contagio e la morte dell’intero organismo. Sarà l’attuale classe politica di ogni colorazione ideologica in grado di assumersi questa alta responsabilità?
Aggiornato il 17 novembre 2025 alle ore 11:04
