Separazione o non separazione, questo è il dilemma

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge costituzionale dedicata alla riforma dell’ordinamento giurisdizionale e all’istituzione della Corte disciplinare segna un passaggio istituzionale di grande rilievo, destinato a incidere in modo significativo sull’equilibrio tra i poteri dello Stato e sulla futura configurazione del sistema giudiziario italiano.

Il provvedimento, approvato in seconda deliberazione da entrambe le Camere con maggioranza assoluta ma inferiore ai due terzi, entra ora in una fase potenzialmente decisiva: quella che potrebbe condurre alla consultazione popolare, secondo la procedura prevista dall’articolo 138 della Costituzione.

L’avvio del termine utile per la richiesta di referendum confermativo apre infatti la porta a una stagione di confronto politico e civile sulla giustizia, che si annuncia intensa e determinante.

La riforma interviene su due assi portanti, da un lato, ridisegna l’architettura dell’ordinamento giudiziario, con particolare attenzione al rapporto tra magistratura e organi di autogoverno e con l’obiettivo dichiarato di rafforzare l’indipendenza dei giudici, accompagnandola però a maggiore trasparenza e responsabilità nell’esercizio delle funzioni.

La separazione tra attività giudicante e requirente costituisce uno dei punti cardine dell’intervento, in linea con un indirizzo politico che da anni attraversa il dibattito pubblico e che mira a distinguere nettamente percorsi e funzioni dei magistrati, limitando il fenomeno dello “scorrimento” da un ruolo all’altro.

La riforma introduce criteri più stringenti per nomina, valutazione e mobilità dei magistrati, nel solco di una concezione dell’indipendenza che non rinuncia, tuttavia, a una verifica sistematica della professionalità e del corretto esercizio delle funzioni.

Dall’altro lato, il testo istituisce un nuovo organo costituzionale, ossia la Corte disciplinare, la quale subentra al Consiglio Superiore della Magistratura nelle funzioni relative ai procedimenti disciplinari, con una logica esplicitamente ispirata alla volontà di rafforzare l’imparzialità del sistema e di separare, anche simbolicamente, il governo della magistratura dal giudizio sui suoi componenti.

La composizione dell’Alta Corte – che vedrà la presenza di membri designati tanto dal Parlamento quanto dalle magistrature – punta a garantire pluralismo e competenza, al tempo stesso ponendosi come strumento per limitare possibili dinamiche corporative e rafforzare la fiducia pubblica nell’equità dei procedimenti disciplinari.

Questa è una scelta che segna una discontinuità rispetto al passato e che apre una stagione di interrogativi, specie in relazione all’effettiva capacità del nuovo organismo di operare con autonomia e autorevolezza senza creare frizioni istituzionali.

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non rappresenta tuttavia il definitivo compimento dell’iter, dal momento che si aprirà un periodo cruciale: entro tre mesi i soggetti legittimati – cinque Consigli regionali, un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila cittadini elettori – potranno richiedere il referendum confermativo.

Qualora la richiesta venga presentata e ritenuta ammissibile, sarà il Presidente della Repubblica a indire la consultazione, presumibilmente entro la primavera 2026.

In tal caso, si aprirà un confronto pubblico serrato tra sostenitori e oppositori della riforma, animato da partiti, associazioni, studiosi del diritto e cittadini e la votazione non richiederà quorum, come previsto per i referendum sulle leggi costituzionali: basterà la maggioranza dei voti validamente espressi per confermare definitivamente il testo o per determinarne la caducazione.

Il referendum, ove si tenga, potrebbe trasformarsi in una sorta di plebiscito politico sulla giustizia, terreno tradizionalmente sensibile e capace di catalizzare l’attenzione pubblica come pochi altri.

Da anni, infatti, la giustizia si trova al centro del dibattito politico nazionale, tra richieste di maggiore efficienza, trasparenza e responsabilità e la necessità di preservare l’autonomia della magistratura quale presidio democratico.

In questo scenario, la riforma costituzionale si inserisce come tentativo di bilanciamento, ovvero quello di rafforzare la fiducia dei cittadini, intervenire su criticità sistemiche e allo stesso tempo conservare gli equilibri propri dello Stato di diritto.

Le reazioni che emergeranno nel corso del confronto non mancheranno di riflettere sensibilità e visioni differenti del ruolo della giurisdizione in una democrazia moderna.

Qualora la riforma superi il vaglio popolare, si aprirà una fase attuativa altrettanto delicata, perché la Costituzione modificata richiederà interventi legislativi di coordinamento e adeguamento, da adottarsi entro un anno dall’entrata in vigore definitiva.

Le leggi che regolano il Consiglio Superiore della Magistratura, l’ordinamento giudiziario e la disciplina delle magistrature andranno riscritte, ridefinite e armonizzate rispetto alla nuova configurazione costituzionale.

Pertanto, si tratta di una sfida legislativa complessa, che comporterà inevitabilmente un confronto anche tecnico, oltre che politico, e che potrebbe incidere profondamente sulle modalità con cui la magistratura esercita quotidianamente le sue funzioni.

Se invece il referendum dovesse respingere la riforma, il Parlamento sarebbe chiamato a riprendere in mano il dossier, tenendo conto del giudizio popolare e delle criticità emerse nella fase del dibattito. Una bocciatura non significherebbe necessariamente l’abbandono del tema, ma potrebbe piuttosto tradursi in una nuova stagione di proposte, emendamenti e mediazioni, nella consapevolezza che la giustizia resta un terreno nevralgico e strategico per la credibilità democratica del Paese.

In entrambi i casi, l’Italia si trova dinanzi a una fase cruciale per il suo sistema costituzionale, in cui la riforma, frutto di un lungo confronto politico e istituzionale, rappresenta un tentativo di aggiornare l’impianto giudiziario alla luce delle esigenze contemporanee, senza rinunciare ai principi fondamentali che presidiano l’indipendenza della giurisdizione.

Il fatto che essa giunga potenzialmente al vaglio del corpo elettorale conferisce alla scelta un valore non solo giuridico, ma profondamente democratico, in quanto saranno proprio i cittadini, se richiesti, a esprimere il loro giudizio su un tema che tocca l’essenza dello Stato e il funzionamento dei suoi meccanismi di garanzia.

Al postutto, siamo dinanzi a un passaggio che evidenzia la maturità del sistema costituzionale e che richiama ciascun attore politico e istituzionale a una responsabilità alta e consapevole, nella prospettiva di rafforzare e non indebolire la fiducia nella giustizia e nella democrazia.

Aggiornato il 06 novembre 2025 alle ore 09:46