 
     La Legge di Bilancio del 2026 avrà un impatto considerevole e con saldi fiscali in aumento e una previsione di riduzione del rapporto debito/pil. Una buona cosa che non deve far dimenticare i fondamentali italiani: metà della popolazione impoverita dalla rincorsa a lavori a basso valore aggiunto, infrastrutture obsolete, nonostante gli investimenti del Pnrr e delle altre fonti di finanza straordinaria, scarsa innovazione, perdita quasi totale del settore automotive che rischia di trascinare con sé anche la crisi della produzione dei chip, con grave impatto su aziende come la St, ex Sgs Thomson.
Anche nei servizi pubblici siamo carenti. Acqua, fogne, viabilità continuano a presentare gravi carenze. Nel settore dell’energia continuiamo a scontare difficoltà nei costi. Non sono dovuti alla guerra russa. Il costo energetico alto è una caratteristica italiana e la causa è una tassazione abnorme.
Tasse e sviluppo economico
È abbastanza complicato dare un rapporto diretto numerico tra risorse liberate dalle tasse e sviluppo economico, specie se restiamo ingessati da uno schema fiscale che si basa sul gioco delle tre carte: tolgo di là per calare la mannaia di là, spesso massacrando interi settori strategici, come sono ad esempio i b&b e le case vacanza. Senza quelli, l’Italia vedrebbe ridurre il numero di turisti da ospitare e la crisi del turismo e il malessere sociale si aprirebbero immediatamente.
Nel 2024 ci sono stati più occupati, ma non maggiore produzione da lavoro. Aumentano i lavori a basso valore aggiunto. Non dobbiamo chiudere gli occhi su questa realtà. Abbiamo bisogno di visione d’insieme. Poiché non abbiamo più grande impresa, né imprenditori con una visione sul futuro, i governi non pensano più in termini strategici.
Chebol, Keiretsu, Holding
Nel lontano Oriente le grandi imprese stilano previsioni a breve, medio, lungo e lunghissimo periodo. Una ‘chaebol’ come Samsung non ha solo piani a dieci anni, ma tiene sotto controllo le ‘keiretsu’ giapponesi come Mitsubishi su un lasso temporale di ottant’anni.
Nel modello di sviluppo euro americano i piani a dieci anni sono considerati già per sognatori. Risultato: abbiamo perso già grandi trasformazioni. Quella commerciale, quella dei trasporti, quella dello spazio. Ci tocca rincorrere.
Qualche giorno fa ho ascoltato un funzionario della sanità pronunciare una frase per certi aspetti avvilente: “Le nostre decisioni sull’acquisto di dispositivi medici e farmaceutici sono scelte di politica industriale. Siamo noi a decidere.”
La politica industriale non è materia per studiosi o economisti (altra perla del convegno è stata: “L’analisi costi benefici le facciamo negli ospedali tra manager, medici e economisti”. Il funzionario intendeva l’economo).
Le scelte di politica industriale sono materia di spesa pubblica. Il che significa che le scelte sono vecchie e fuori tempo.
La politica industriale del funzionario
La visione burocratica dell’industria permea il dibattito in quasi tutti i settori. L’acqua non è utilità orizzontale, ma problema familiare. Le perdite della rete idrica sono considerate una iattura divina e ineliminabile. Le fogne argomento da battuta sporcacciona. Manca la consapevolezza che senza acqua nessuna industria può lavorare. Anche questo, è un esempio.
Nella legge di bilancio si fanno scelte strategiche ogni anno. Ma sono pensate da chi guarda al passato. E non ci possiamo permettere che lo Stato assorba i tre quarti della produzione e sprechi una buona metà di quello che spende.
Il Ponte della Corte dei conti
La polemica sulla bocciatura della Corte dei conti del progetto del ponte sullo Stretto di Messina è il risultato di questa confusione da massa inerte. A fermare il progetto è un organo di nomina governativa che erroneamente è chiamata magistratura contabile ma non è fatta da giudici. La Corte aveva chiesto una serie di chiarimenti ai quali non è stata data risposta. Risultato: non ha dato un nulla osta per mancanza di documentazione. È un disastro per la nostra economia? E chi lo sa? A cosa serva davvero il ponte non è chiaro. Sappiamo però che un anno fa era preventivato a otto miliardi e oggi viaggiamo sui ventuno. Se serve a collegare il porto di Augusta al Mare del Nord dovremmo avere la rete ferroviaria per assorbire i relativi traffici. Dove sono progetti e cantieri?
L’Europa che ci manca
La situazione internazionale incalza. La Russia si è infilata in un vicolo cieco di guerra e declino economico. Si è trasformata in uno Stato canaglia che ha bisogno della guerra per andare avanti. Per ragioni politiche, economiche e militari abbiamo bisogno di una dimensione nazionale e una continentale. Senza un’Europa Stato che oggi non c’è, il futuro non è più una nostra dimensione. Se non torniamo a pensare al futuro, perdiamo la libertà. Abbiamo bisogno dell’Europa che non c’è per essere liberi e più ricchi. È l’infrastruttura necessaria per fare tutte le altre. Anche per fare il Ponte e abbassare le tasse per ottenere più produzione e ricchezza.
Aggiornato il 31 ottobre 2025 alle ore 11:24

 
		 