La “questione omerica” come metafora della creazione spontanea: dall’aedo greco all’Intelligenza artificiale, il genio nasce solo dove l’individuo è libero
Un recente articolo del Corriere della Sera (“La questione omerica”, Le lezioni del Corriere) riporta in primo piano un dibattito antico e affascinante: Omero è stato un solo poeta o un coro di voci anonime che, per secoli, hanno plasmato l’Iliade e l’Odissea? Un interrogativo filologico che diventa anche una metafora della libertà: la tensione eterna tra la creazione individuale e quella collettiva, tra il genio e la tradizione, tra il disegno imposto e l’ordine spontaneo. Quando Friedrich August Wolf, nel 1795, mise in dubbio l’esistenza di un unico Omero, suggerì che quei poemi, troppo vasti e contraddittori, non potessero essere opera di un solo uomo. Da allora, l’epica greca è diventata il simbolo di un ordine che nasce senza piano, di un’armonia prodotta dal libero intreccio di molte voci. Come nota il Corriere, i “difetti stessi” dei poemi – le incoerenze, le sovrapposizioni – sono in realtà “inestimabili pregi”, perché testimoniano una vitalità creativa che nessuna regia avrebbe potuto costruire a tavolino.
È un paradigma che parla al presente. Oggi la cultura e l’informazione vivono una nuova forma di pianificazione: festival, premi e programmi educativi piegati a un’unica visione “corretta”; opere riscritte per adeguarle al linguaggio del momento; autori esclusi perché non conformi all’ideologia dominante. Come i tiranni ateniesi che avrebbero “ordinato” i poemi omerici, anche le burocrazie culturali moderne tentano di uniformare l’immaginazione, sostituendo la pluralità con l’approvazione. Epperò, la lezione di Omero è opposta: la vera arte nasce nel disordine creativo, nella libertà di molte menti che si confrontano, si contraddicono, si contaminano. Non è il risultato di un editto, bensì di un’evoluzione spontanea – la stessa che regge le società libere e le economie aperte. Nessun pianificatore potrebbe generare la ricchezza di significati che l’epica ha prodotto nel tempo; come nessun governo può creare prosperità, ma solo lasciarla fiorire.
La questione omerica trova un parallelo inatteso nell’Intelligenza artificiale. Gli algoritmi generativi raccolgono, combinano e rielaborano materiali preesistenti, proprio come facevano gli aedi con i versi tramandati oralmente. Ma mentre la tradizione epica era frutto di libertà e memoria umana, l’Ia rischia di diventare la nuova forma di uniformità: una “voce collettiva” che ripete ciò che esiste, senza innovare davvero. La differenza è morale prima che tecnica: la creatività umana nasce dall’individualità, dal rischio, dal giudizio personale – tutti elementi che nessuna macchina può sostituire. Anche la questione dell’autore, che da secoli divide gli studiosi, torna d’attualità nel mondo digitale. Chi è l’autore oggi, quando un software può generare un testo, un quadro, una musica? Il dubbio di Wolf su Omero anticipa le nostre domande contemporanee: può esserci arte senza individuo?
La risposta per chi crede nel sistema di principi della libertà è chiara: no. L’arte, come il mercato, vive solo se l’individuo è libero di creare e di possedere il frutto della propria mente. La proprietà intellettuale – spesso disprezzata o relativizzata – non è un privilegio, è una difesa della libertà creativa. Senza di essa, la cultura diventa amministrazione. Nella Grecia arcaica, ogni aedo era libero di aggiungere o modificare i versi. Nessun “ufficio poetico” decideva la versione corretta. Oggi, invece, viviamo nell’epoca della revisione ideologica: parole proibite, classici epurati, dizionari corretti secondo criteri politici. È il contrario dell’esperienza omerica. Là dove l’arte si forma nella pluralità, la cultura centralizzata sterilizza la lingua, riduce la complessità e distrugge la memoria.
Anche la scuola, in molti casi, ha smarrito la lezione omerica. L’educazione è sempre più un esercizio di conformismo, dove la libertà interpretativa cede al moralismo e all’adesione. Invero, la civiltà nasce dal dissenso, non dall’uniformità. Così come i poemi di Omero contengono “pugnantia” – contraddizioni che li rendono vivi – anche una società libera si regge sulle differenze, non sull’omologazione. Rileggere la questione omerica oggi significa dunque difendere l’autonomia dell’individuo contro la pretesa di un potere che vuole riscrivere tutto: dai libri di scuola alla memoria storica, dal linguaggio alle emozioni. È un atto di libertà, non solo di cultura. Omero – o gli omeri – ci ricordano che la civiltà non nasce dal decreto, bensì dall’incontro tra voci indipendenti. Come in un mercato di idee, ogni contributo, anche minimo, può diventare indispensabile. L’ordine più fecondo è quello che nessuno ha imposto. Achille, nell’Iliade, si ribella al potere che non riconosce il merito; Odisseo/Ulisse, nell’Odissea, prevale grazie all’intelligenza individuale. In entrambi, la libertà personale è la vera virtù. E come per gli eroi, così per gli artisti e i cittadini: il valore nasce solo dove la scelta è libera, non dove la legge comanda.
In conclusione, in un tempo in cui le intelligenze artificiali riscrivono i testi e gli apparati culturali pretendono di guidare la fantasia, la questione omerica ci offre un ammonimento inatteso: la cultura è libera o non è. Ogni tentativo di amministrarla la uccide. Le contraddizioni dell’epica sono la prova che la libertà crea ordine; le uniformità moderne, la prova che l’ordine imposto genera sterilità. Omero, dunque, non è un problema di filologia, è piuttosto di civiltà. Rappresenta la vittoria dell’immaginazione contro la pianificazione, della parola contro l’apparato, dell’individuo contro la moltitudine addestrata. L’epica della libertà non è un ricordo del passato: è la sfida più urgente del presente.
Aggiornato il 29 ottobre 2025 alle ore 10:29
