
La recente dichiarazione della ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, sulla totale limitazione dell’antisemitismo al solo nazifascismo, mossa a partire dalle critiche alle gite scolastiche ad Auschwitz, ha riacceso un dibattito cruciale in Italia sul modo in cui il Paese affronta e percepisce l’odio antiebraico. Le sue parole, pronunciate in un convegno e poi ribadite, hanno suscitato aspre polemiche, in particolare con la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah. La ministra ha sostenuto che i viaggi della memoria avrebbero, paradossalmente, contribuito a circoscrivere l’antisemitismo solamente a un fenomeno storico e politico passato, quello nazifascista, impedendo una piena consapevolezza della sua persistenza e delle sue manifestazioni contemporanee, spesso legate ad altre ideologie o contesti politici, come il conflitto arabo-israeliano. Secondo Roccella, l’Italia non avrebbe “fatto i conti fino in fondo” con il proprio antisemitismo. La senatrice Segre ha replicato duramente, affermando che “la memoria della verità storica fa male solo a chi conserva scheletri negli armadi”, sottolineando come l’esperienza della Shoah sia un monito universale contro ogni forma di odio razziale. Lo scontro verbale evidenzia la tensione tra la necessità di custodire la memoria storica della Shoah e l’urgenza di riconoscere e contrastare l’antisemitismo che emerge oggi, spesso mascherato da critica politica allo Stato di Israele.
Questo dibattito si colloca in un periodo di forte polarizzazione, specialmente a causa del conflitto in Medio Oriente. Le manifestazioni a favore di Gaza che si sono tenute in Occidente, pur nascendo con l’intento legittimo di solidarietà verso il popolo palestinese e di critica alle azioni del Governo israeliano, sono state in molti casi degenerate in slogan apertamente antisemiti. Si è assistito, in alcune piazze, a messaggi che superavano la semplice condanna della politica israeliana per sfociare nell’odio totale verso gli ebrei in quanto tali o nell’apologia di organizzazioni terroristiche come Hamas, il cui Statuto e i cui obiettivi non si limitano alla liberazione della Palestina ma includono l’annientamento dello Stato di Israele e la cancellazione del popolo ebraico. Slogan come “dal fiume al mare la Palestina sarà libera” (che nega l’esistenza stessa di Israele) o riferimenti espliciti all’Intifada con richiami violenti, sebbene non universali, hanno sollevato allarme tra la Comunità ebraica e le autorità. Il punto cruciale è il sottile e spesso violato confine tra l’antisionismo e l’antisemitismo. Se la critica alle politiche di uno Stato è un diritto legittimo in democrazia (ed è esercitata anche da molti ebrei), l’uso di stereotipi antiebraici, l’equiparazione dello Stato di Israele ai nazisti (l’uso, condannato da Roccella, della parola “genocidio”) o l’incitamento all’odio contro gli ebrei, tradiscono la causa palestinese e ne minano la legittimità etica. La dichiarazione di Roccella, pur discutibile nella sua formulazione sui viaggi ad Auschwitz, centra un nervo scoperto: il rischio di non vedere l’odio antiebraico quando non si presenta con le vesti storiche del fascismo o del nazismo, sottovalutando la sua pericolosa insorgenza nelle piazze contemporanee, spesso in un’ambigua fusione tra solidarietà per il popolo palestinese e retorica estremista. Il Paese è chiamato a una riflessione più profonda, che sappia tenere insieme la memoria della Shoah con la vigilanza sull’antisemitismo di ogni colore politico.
Aggiornato il 21 ottobre 2025 alle ore 10:48