
Alle elezioni per il Parlamento europeo sulle liste preconfezionate non ci si può metter becco: i candidati vengono selezionati dai vertici dei vari partiti, non c’è ombra di primarie, però almeno la preferenza la puoi dare, anche se c’è il vincolo: una “Lei” puoi votarla solo se l’accompagni a un “Lui” e viceversa.
Scruti le liste. Pensi di aver individuato un paio di nomi decenti; ti fai forza, ci metti la croce (davvero una croce, senza delizia…).
Passa qualche mese, il candidato che hai scelto l’hanno scelto in tanti, così approda a Bruxelles. Naturalmente chi s’è visto s’è visto, non uno straccio di “grazie” per averlo scelto; non si fa vedere neppure per sbaglio nella tua città, lo vedi quando lo invitano a berciare di tutto in tivù, meno che a riferire di quello che fa o dovrebbe fare al Parlamento europeo.
Poi, le elezioni amministrative. Lui e un altro paio (uno fa parte di quelli che volevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno), si candidano a presidenti delle loro regioni. Lo hanno deciso nell’ambito di una “testarda” unitaria politica (s)partitocratica. L’elettore? È come Carneade per don Abbondio.
Due dei tre prendono una sonora batosta; il terzo probabilmente riuscirà nel suo intento. Il fatto è che tutti e tre dovevano fare i parlamentari a Bruxelles, per quello erano stati eletti con preferenza. Poi, senza neppure far la mossa di chiedere a chi avesse dato loro fiducia, hanno ritenuto che fosse meglio operare in Regione. Ma non in Regione: alla presidenza della Regione. Siccome la maggioranza a loro ha preferito un altro come Presidente, loro non è che stanno all’opposizione, rispettando comunque il mandato di chi li ha votati la seconda volta. No, si ricordano del mandato avuto con la prima consultazione, piantano regione (pardon: baracca) e burattini, se ne tornano tranquilli a Bruxelles.
Naturalmente tutto questo via vai con il consenso e l’accordo dei vertici dei loro partiti: come pedoni, o al massimo cavalli, in una scacchiera, in obbedienza ai voleri e ai calcoli dello scacchista.
Diciamo che all’elettore per via di questo “nuovo” peggiore del “vecchio”, dai oggi dai domani, nel suo piccolo, come le proverbiali formiche, s’incazza.
Ora il diapason lo si raggiunge con la formidabile riflessione: “Occorre cambiare passo”. Già, ragionano coi piedi.
Aggiornato il 11 ottobre 2025 alle ore 10:05