L’Istituto Milton Friedman denuncia i legami della Flotilla con Hamas

Quando si affrontano questioni inerenti a imprese filantropiche o umanitarie bisognerebbe prima e in modo prioritario, accertarsi dell’identità di chi le finanzia, proprio per evitare di rimanere ingenuamente e involontariamente irretiti in una complicità (diretta o indiretta) con associazioni di matrice terroristica. L’Istituto Milton Friedman ha annunciato la presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica di Roma sulla vicenda della Sumud Flotilla, la missione navale partita con l’obiettivo dichiarato di portare aiuti umanitari a Gaza e denunciare il blocco imposto da Israele. Secondo quanto riferito dal direttore esecutivo dell’Istituto, Alessandro Bertoldi, “le prove raccolte da Israele – basate su documenti rinvenuti a Gaza – indicherebbero un coinvolgimento diretto di Hamas nel finanziamento della Flotilla, inclusi trasferimenti di fondi a favore degli organizzatori”. Una notizia che ha immediatamente sollevato polemiche e riacceso il dibattito sul confine sottile che separa l’impegno umanitario dalla responsabilità penale in materia di contrasto al terrorismo internazionale.

L’esposto, che verrà depositato nei prossimi giorni, chiederà ai magistrati romani di accertare la provenienza dei fondi impiegati per la missione e di verificare l’eventuale configurabilità di reati previsti dal Codice penale italiano. In particolare, l’Istituto richiama due disposizioni centrali nella lotta al terrorismo: l’articolo 270-bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale) e l’articolo 270-quinquies (finanziamento di condotte con finalità di terrorismo). Secondo Bertoldi, “Hamas è riconosciuta dall’Unione europea come organizzazione terroristica dal 2003, ai sensi del Regolamento (Ce) numero 2580/2001. Se vi sono fondi che, anche indirettamente, hanno alimentato le sue attività, è doveroso accertarlo e l’intento umanitario non esclude la responsabilità penale se emergono dolo o colpa grave”. Nel mirino dell’esposto non vi sarebbero solo le associazioni organizzatrici, ma anche i parlamentari italiani presenti a bordo della nave. Infatti, “È grave – sottolinea Bertoldi – che rappresentanti istituzionali abbiano partecipato a un’iniziativa di tale portata senza verificare la provenienza dei finanziamenti e le possibili implicazioni legali o politiche della loro adesione”. Gli organizzatori della missione, tra cui Global Flotilla Italia, hanno immediatamente respinto le accuse. In una nota diffusa nelle ore successive all’annuncio dell’esposto, hanno definito “infondati e strumentali” i sospetti di legami con Hamas, ribadendo che la Flotilla “è un’iniziativa civile e pacifica, finalizzata unicamente a denunciare la crisi umanitaria di Gaza e a promuovere il rispetto del diritto internazionale”. Gli attivisti affermano di aver operato “con fondi raccolti pubblicamente, in modo trasparente e tracciabile”, e di non avere alcuna connessione con organizzazioni politiche o militari. La Sumud Flotilla, del resto, si inserisce nella scia di missioni analoghe che negli ultimi quindici anni hanno tentato di raggiungere le coste di Gaza per consegnare aiuti e rompere simbolicamente il blocco navale israeliano.

In più occasioni, tali spedizioni hanno suscitato reazioni diplomatiche e scontri di opinione tra chi le considera espressione di solidarietà internazionale e chi le interpreta come operazioni politiche ambigue. Il Regolamento europeo numero 2580/2001 vieta qualsiasi forma di finanziamento, anche indiretto, a organizzazioni o individui designati come terroristi. Pertanto, ne consegue che, se anche una parte dei fondi impiegati per la missione provenisse da fonti riconducibili a Hamas, gli organizzatori potrebbero essere chiamati a rispondere di finanziamento illecito o associazione con finalità di terrorismo, anche in assenza di dolo diretto, qualora si accerti una grave negligenza nella verifica della provenienza del denaro. Molti esperti di diritto penale internazionale invitano alla prudenza: “Non basta l’intenzione umanitaria a escludere la responsabilità penale, ma neppure il sospetto politico a fondarla. Servono prove concrete, documenti, bonifici, conti correnti”. Quindi, è su questi elementi che si misurerà l’effettiva portata dell’esposto, il dibattito che accompagna la Sumud Flotilla non è nuovo, ma oggi assume un rilievo particolare nel contesto della guerra in Medio Oriente e della crescente attenzione europea al controllo dei flussi finanziari verso aree di conflitto.

Il punto di equilibrio tra libertà di iniziativa civile e prevenzione del terrorismo appare sempre più fragile. Le organizzazioni non governative e i movimenti pacifisti, da un lato, rivendicano il diritto di operare in nome della solidarietà internazionale, dall’altro, gli Stati invocano la necessità di garantire che tali azioni non diventino, anche involontariamente, strumenti di legittimazione o sostegno di gruppi armati. Bertoldi parla di “una questione di responsabilità morale prima ancora che giuridica”, secondo il direttore dell’Istituto, “quando si agisce in un’area controllata da un gruppo terroristico, ogni passaggio logistico o economico deve essere verificato con rigore. Non basta dichiararsi per la pace: occorre dimostrare di non favorire chi la minaccia”. L’esposto dell’Istituto Milton Friedman, qualora accolto, potrebbe aprire un’inchiesta di ampio respiro sui rapporti tra movimenti umanitari, politica e sicurezza nazionale.

Più che un procedimento penale immediato, l’iniziativa rappresenta un atto politico e simbolico, che riporta al centro della discussione pubblica la necessità di trasparenza finanziaria nelle attività internazionali delle ong e dei gruppi di solidarietà. La vicenda della Sumud Flotilla diventa così un banco di prova per la tenuta dello Stato di diritto, ossia riuscire a conciliare libertà di espressione, solidarietà umana e difesa della sicurezza collettiva. In un Mediterraneo ancora attraversato da tensioni e conflitti, la linea di confine tra idealismo e imprudenza resta sottile e perciò, anche e soprattutto, in questo caso urge declinare la sempre utile e lungimirante massima einaudiana “conoscere per deliberare”, proprio per evitare di essere responsabili di apologia di attività terroristiche e quindi criminali. Al postutto, come spesso accade, sarà ovviamente la magistratura a dover stabilire se dietro le vele della Flotilla si muovono soltanto venti di pace o anche ombre più opache.

Aggiornato il 07 ottobre 2025 alle ore 11:13