Italia sotto pressione: segnali di un nuovo estremismo

Di giorno in giorno, l’Italia appare in preda a un clima di crescente intimidazione. Una tensione che, in larga parte, si rivolge direttamente o indirettamente contro il Governo in carica, con effetti potenzialmente lesivi per l’ordine pubblico e la convivenza civile.

La memoria riporta al non lontano passato in cui si sono verificati la contestazione studentesca del 1968 e l’autunno caldo sindacale del 1969, entrambi seguiti dagli esecrabili anni di piombo che si sono protratti dal 1970 fino agli Anni Ottanta inoltrati e dal tentativo di rilancio tra le fine del Secondo Millennio e l’inizio del Terzo.

Come notato da ponderati osservatori vicini sia alla maggioranza governativa sia all’opposizione, la situazione politica-economica-sociale di oggi è diversa da quella di allora. Permane, tuttavia, il fatto che nel contesto della conflittualità non convenzionale – la quale esula tanto dalla contesa democratica, civile e ordinata quanto dal classico campo di battaglia – l’agitazione sovversiva è spesso propedeutica al terrorismo, che può manifestarsi come un occasionale strumento nel corso della stessa agitazione sovversiva o, in modo pervasivo, quale stadio successivo.

Per via di numerosi indicatori il clima di intimidazione di oggi è palesemente assimilabile all’agitazione sovversiva e rispecchia un modus operandi comprensivo di violenza verbale e materiale.

Sotto l’aspetto verbale risaltano i cattivi maestri – veri e propri influencer convinti della propria superiorità morale e culturale – fra cui si distinguono taluni politici, magistrati, giornalisti, docenti, saggisti, attori, comici, cantanti e musicisti e, contemporaneamente, si registrano ripetutamente malevoli invettive che includono l’auspicio di sciagure ai danni della Presidente del Consiglio, dei Viceministri e del Ministro dell’Interno e persino dei loro figli. Per quanto riguarda, in particolare, il linguaggio volgare e il comportamento aggressivo di alcuni parlamentari, il titolo di “onorevole” si riduce malauguratamente a una vacua formalità. 

Sotto l’aspetto materiale – al di là dell’irresponsabile incitamento alla rivolta sociale; dei cortei, messaggi sui social, graffiti e cartelli in cui ricorrono le espressioni “vi appenderemo con la testa in giù” e “finirete come Mussolini”; e delle manifestazioni in cui si danno alle fiamme foto e fantocci di membri del Governo – risaltano le occupazioni di immobili pubblici, privati, universitari, scolastici ed ecclesiastici; l’interruzione di lezioni e conferenze; i blocchi stradali, ferroviari e portuali; la sfrenata fuga da ordinari controlli di polizia; gli scioperi privi di obiettivi riguardanti la tutela dei lavoratori e, allo stesso tempo, dannosi per l’intera società, come sintetizzato nella formula “blocchiamo tutto”; i presidi in prossimità di contestate sedi giornalistiche; la stesura di liste di proscrizione; e la degenerazione di dimostrazioni sfocianti in atti vandalici e distruttivi, nonché in aggressioni alle forze dell’ordine di cui viene pretesa l’abolizione. Il tutto in nome dell’antifascismo (oggettivamente denominato “immaginario” persino da un esponente della sinistra) ed in nome della resistenza al canto di “Bella ciao”, mai nel repertorio dei veri partigiani.

Questi fenomeni si manifestano non solo con riguardo a contesti nazionali quali il recente decreto sicurezza e il contrasto all’immigrazione irregolare e clandestina, ma si estendono strumentalmente a contesti esteri ed internazionali, fra cui il riarmo europeo, l’appartenenza alla Nato, e la “causa palestinese” con l’assurda accusa al governo italiano di “complicità nel genocidio” confondendo, faziosamente o ignorantemente, il genocidio con l’eccessiva reazione israeliana contro l’utilizzo di ostaggi umani da parte dell’aggressore Hamas, il cui motto annientatore “Dal fiume al mare” viene adottato dai facinorosi. Inoltre, assieme alle bandiere palestinesi, appaiono in assembramenti e cortei i simboli di Hamas, Hezbollah, Isis e dei talebani.   

Con l’aggiuntivo rischio di sfruttabilità dall’estero, sia da parte di potenze statali sia da attori non statali in un momento di crisi al livello mondiale, il variegato movimento di antagonisti – molteplice culla di aggregazioni pronte ad intervenire anche in manifestazioni che esulano dai loro rispettivi interessi – comprende centri sociali quali Leoncavallo e Askatasuna, da un lato, e Casa Pound, dall’altro; collettivi studenteschi quali Cambiare Rotta; circuiti extraparlamentari quali Rete dei Comunisti, Potere al Popolo e Nuovo Partito Comunista Italiano; attivisti “verdi” quali Ultima Generazione, Extinction Rebellion, No Tap, No Muos, No Tav e No Ponte; fautori della rimozione della memoria ovvero corrente “Woke”; apostoli a senso unico del pacifismo, ossia elementi anti-Nato e No Nuke; rappresentanze femministe in chiave anti-patriarcato; e immigrati, anche di seconda o terza generazione, disadattati o oltremodo protesi verso il rifiuto delle norme e consuetudini della terra di accoglienza.   

Infine, disordini, abusi e violenze vengono giustificati come “insignificanti” rispetto a quanto avviene in altri teatri geopolitici oppure come necessari per il risveglio della “giusta” lotta, concetto che ricorda le parole di Lenin: “Per fare la frittata bisogna rompere le uova”. Contemporaneamente si alimentano gli ulteriori rischi di una inconsiderata azione o reazione da parte di spesso incolti e confusionari elementi di estrema destra.

Purtroppo, quanto precede umilia coloro che, a ragione o torto, esprimono in buona fede il loro pensiero nel rispetto della civile convivenza prevista e tutelata dall’ordinamento giuridico.

In presenza della sconcertante situazione in atto, il più elementare buon senso dovrebbe indurre tutti a prestare la dovuta attenzione, mutuando la terminologia del codice della strada, ai ben visibili segnali di avvertimento e di pericolo.

(*) Segretario generale dell’Albo Nazionale Analisti Intelligence

Aggiornato il 06 ottobre 2025 alle ore 11:05