
Le strade di Roma, da sempre teatro di espressioni di dissenso e solidarietà, sono state recentemente animate da imponenti manifestazioni a sostegno della causa palestinese. Migliaia di persone hanno sfilato, mosse da un profondo senso di giustizia e indignazione per le sofferenze che affliggono la popolazione di Gaza. Tuttavia, a fianco delle legittime rivendicazioni e della pacifica espressione del dissenso, si sono purtroppo verificati episodi di violenza, devastazione e scontri con le forze dell’ordine che sollevano interrogativi urgenti e complessi.
IL PARADOSSO DELLA VIOLENZA IN UNA MANIFESTAZIONE PER LA PACE
Il contrasto tra l’intento dichiarato di molte manifestazioni – promuovere la pace e la giustizia – e la violenza che talvolta le macchia, è un paradosso difficile da digerire. Come può un movimento che invoca la fine delle ostilità e la tutela dei diritti umani finire per distruggere beni pubblici, appiccare incendi o, peggio ancora, attaccare chi è preposto a garantire l’ordine pubblico?
La risposta non è semplice e non può essere univoca. Da un lato, c’è la frustrazione e la rabbia, che possono degenerare quando i manifestanti si sentono inascoltati o impotenti di fronte a tragedie percepite come ingiustizie lampanti. La violenza, in questi casi, può essere una valvola di sfogo, un gesto disperato per attirare l’attenzione su una causa che si ritiene ignorata. Dall’altro, non si può escludere l’infiltrazione di elementi esterni o di frange estremiste che strumentalizzano la protesta per fini propri, spesso lontani dagli obiettivi originari del movimento.
DEVASTAZIONE, INCENDI E L’ATTACCO ALLE FORZE DELL'ORDINE: UN SEGNALE PREOCCUPANTE
Le cronache degli ultimi mesi hanno registrato a Roma episodi che vanno oltre la semplice intemperanza. Devastazioni di negozi, danneggiamento di proprietà pubbliche e private, e soprattutto gli attacchi diretti alle forze dell’ordine rappresentano un salto di qualità nella gravità degli eventi. Questi atti non solo minano la credibilità del movimento, ma creano un clima di paura e insicurezza che finisce per alienare anche chi, in linea di principio, potrebbe simpatizzare con la causa palestinese.
L’aggressione alle forze dell’ordine, in particolare, è un segnale preoccupante. Essa non è solo un reato, ma un attacco simbolico a uno dei pilastri dello Stato democratico. Le divise rappresentano l’autorità e l’ordine, e attaccarle significa mettere in discussione il tessuto stesso della convivenza civile.
È UN ATTACCO ALLO STATO?
Definire questi episodi come un “attacco allo Stato” è una questione delicata. Se da un lato la violenza contro le forze dell’ordine e la distruzione di beni pubblici possono essere interpretati come un’azione eversiva nei confronti dell’autorità e dell’ordine costituito, dall’altro è importante distinguere tra la responsabilità individuale o di piccoli gruppi e l’intento complessivo di un movimento.
Difficilmente l’obiettivo primario di una manifestazione pro-Palestina è rovesciare lo Stato italiano. Più probabile è che si tratti di un’espressione di rabbia estrema, di tentativi di destabilizzazione da parte di minoranze organizzate, o di una pericolosa combinazione di entrambi. Tuttavia, gli effetti sul sentire comune e sulla percezione della sicurezza possono essere devastanti, e minano la fiducia nelle istituzioni.
CHI SOFFIA SUL FUOCO DEGLI SCONTRI?
Identificare chi “soffia sul fuoco” è forse la domanda più complessa. Le possibilità sono molteplici:
1) Gruppi antagonisti o anarchici:spesso presenti in manifestazioni di ampia portata, possono sfruttare il contesto per ingaggiare scontri con le forze dell’ordine, indipendentemente dalla causa specifica della protesta.
2) Estremisti interni al movimento:frange radicali della galassia pro-Palestina, magari influenzate da ideologie più aggressive o meno inclini al dialogo, che vedono nella violenza l’unica via per raggiungere i loro obiettivi o per esprimere la loro rabbia.
3) Propaganda e disinformazione:la polarizzazione del dibattito, alimentata anche da un uso distorto dei social media, può esasperare gli animi e spingere alcuni a comportamenti violenti, convinti di agire per una giusta causa.
IL VALORE DEL DISSENSO PACIFICO E IL LIMITE INVALICABILE DELLA VIOLENZA
Le manifestazioni di piazza sono un pilastro fondamentale di ogni democrazia, un diritto sacrosanto che permette ai cittadini di esprimere il proprio dissenso, di chiedere giustizia e di influenzare le decisioni politiche. Il sostegno alla causa palestinese, in tutte le sue sfaccettature e criticità, è una legittima espressione di questo diritto. Tuttavia, esiste un limite invalicabile: quello della violenza. La distruzione, l’incendio e l’attacco alle forze dell’ordine non solo sono atti criminali, ma tradiscono la causa stessa che si intende difendere. La violenza non genera pace, ma solo ulteriore divisione e rancore. Anzi, spesso fornisce un pretesto a chi vuole delegittimare l’intero movimento.
È essenziale che le forze politiche, sociali e gli organizzatori delle manifestazioni si adoperino per isolare e condannare fermamente ogni episodio di violenza. La forza di un movimento risiede nella chiarezza dei suoi ideali, nella capacità di mobilitare le coscienze e nella coerenza dei suoi mezzi. Solo attraverso la non violenza e il rispetto delle regole democratiche si può sperare di costruire un consenso duraturo e di portare avanti un messaggio di pace e giustizia che sia realmente ascoltato e rispettato. La ricerca di soluzioni al conflitto mediorientale è complessa e dolorosa, ma la risposta non può mai essere cercata nella distruzione e nello scontro all’interno delle nostre città.
Aggiornato il 06 ottobre 2025 alle ore 11:18