
Charlie Kirk, il controverso fondatore di Turning Point Usa, è stato ucciso con un colpo di fucile sparato da un tetto mentre teneva uno dei suoi famosi dibattiti all’Utah Valley University. L’attivista conservatore, noto per girare i campus universitari americani sfidando gli studenti in confronti politici attraverso il suo “American Comeback Tour”, è morto nel momento stesso in cui stava facendo ciò che aveva reso il marchio della sua esistenza pubblica: dibattere. La vicenda di Kirk, emersa tragicamente nelle cronache di ieri, non interessa qui per i suoi dettagli biografici o per le sue posizioni politiche, ma perché rappresenta uno di quei punti di svolta che offrono alla riflessione l’occasione di interrogarsi sul nostro tempo. Ogni evento che diviene pubblico, infatti, porta con sé la domanda sul senso complessivo entro cui si inscrive. Ed è proprio questo interrogativo che oggi si mostra con urgenza: come riconoscere che ogni parte non è l’Intero, e che soltanto l’Intero, come ammoniva Georg Wilhelm Friedrich Hegel, è vero? La morte di Kirk illumina con drammatica chiarezza il paradosso della nostra epoca. Egli aveva trasformato il dibattito universitario in spettacolo virale, sedendo dietro un tavolo e invitando chiunque a sfidarlo su temi controversi.
Viviamo in un’epoca che celebra i frammenti. Le informazioni circolano in schegge, le opinioni si moltiplicano senza incontrarsi, la conoscenza si divide in specialismi che faticano a comunicare tra loro. Ma un frammento, per quanto nitido, non è mai verità: è soltanto una parte. E se la parte pretende di diventare tutto, allora si genera un inganno che non è soltanto logico, ma esistenziale. Il punto cruciale è che l’intero non è una semplice somma. Non basta accostare le parti per ricostruire la totalità. L’intero è ciò che precede e sorregge ogni frammento, è ciò che dà significato a ogni istante. Senza questa consapevolezza, la società si consegna a una logica di contrapposizioni sterili, dove ognuno difende la propria parte come se fosse la totalità. E quando la dialettica si trasforma in guerra, la parola cede il posto al proiettile. In questo contesto si comprende l’ambiguità profonda del fenomeno che Kirk incarnava: il debate. Si invita il giovane a scegliere una tesi e a sostenerla contro un’altra, come in un tribunale. Ma così la ricerca della verità viene sostituita dall’arte della vittoria: non importa quale sia l’argomento, importa soltanto convincere la giuria. In questo scenario, la parte non dialoga con l’intero, ma solo con la parte opposta. È una dialettica amputata, che riduce il Logos a tecnica di persuasione. È l’errore che diventa tragedia esistenziale quando la politica si trasforma in teologia della contrapposizione. Kirk – ma con lui anche i suoi followers e i suoi haters – aveva fatto di questa fallacia il suo metodo, trasformando ogni questione complessa in uno scontro binario dove vincere conta più che comprendere.
Educare significa invece introdurre le nuove generazioni al senso dell’intero. Significa mostrare che ogni affermazione trova la propria verità solo quando viene ricondotta all’orizzonte che la comprende. Senza questa educazione, il pensiero resta confinato nello scontro delle parti, incapace di intravedere ciò che le oltrepassa. E quando il pensiero si chiude nell’ossessione della parte, genera quella cecità che può portare qualcuno a credere che eliminando fisicamente l’avversario si risolva il problema che rappresenta. La verità non si lascia catturare da una tesi o da un’argomentazione. Essa dialoga soltanto con se stessa. A noi sta l’imperativo – questo sì profondamente etico e “categorico” – di prestare ascolto. È questo il destino del Logos: ogni frammento che si isola è destinato a dissolversi, mentre ciò che rimane è l’intero. Hegel lo aveva espresso con chiarezza, e la nostra epoca sembra aver dimenticato questa lezione fondamentale.
L’occasione tragica offerta dalla cronaca ci invita allora a ripensare la direzione della nostra formazione culturale. Non si tratta di moltiplicare opinioni, né di affinare tecniche di scontro, ma di insegnare a pensare l’intero. Solo così si potrà evitare che la società diventi un insieme di parti litigiose, incapaci di riconoscere il senso che le unisce. Solo così si potrà evitare che il dibattito degeneri nell’omicidio. La cronaca di Kirk passa, ma il problema rimane: senza la relazione all’intero, la parte si spegne. E l’uomo, smarrito tra frammenti, dimentica di essere destinato a ciò che non può mai essere ridotto a parte. Il colpo che ha spezzato la vita del giovane attivista conservatore ha colpito, in realtà, tutti noi: è il sintomo di una civiltà che ha perduto il senso del tutto e si è consegnata alla guerra infinita dei frammenti.
Aggiornato il 15 settembre 2025 alle ore 11:02