Taccuino Liberale #55

venerdì 12 settembre 2025


Ci sono settimane in cui gli appunti del Taccuino sono tanti e si potrebbe parlare di molte cose, ma la cronaca prende il sopravvento e allora la riflessione non può che focalizzarsi sull'imminente. Ieri, 11 settembre, il mondo si sarebbe dovuto fermare per ricordare quello che accadde quell’11 settembre del 2001 a NY, ossia l’attacco alle torri gemelle. Invece abbiamo tanti fatti gravi (alcuni hanno origine proprio da quel 9/11, e non ammetterlo è il primo grave errore dei tanti commessi dal mondo occidentale che oggi paga un prezzo enorme per quegli errori). Invece gli Usa sono molto diversi da quelli che erano nel 2001, e anche gli europei che dinanzi al crollo delle torri gemelle si dissero tutti americani non sono gli stessi di allora; e quindi se è già difficile narrare la realtà, tanto più lo diventa cercare di provare a raccontare la verità, perché sempre più spesso le notizie e tutto quello che ne consegue non rispondono più al diritto/dovere di informazione, ma solo alla funzionalità in chiave politica. Partiamo dunque dai fatti. Due eventi drammatici, due omicidi efferati che hanno in comune una donna ed un uomo, uccisi negli Usa a pochi giorni l’una dall’altro, dimostrano come la libertà d’informazione diventa solo un antico retaggio culturale, e nulla interessa se non risponde alla narrazione mainstream.

Iryna Zarutska, era una rifugiata ucraina, fuggita dal suo paese a causa dell’invasione russa. Era una bellissima giovane donna ed era in metropolitana a Charlotte, in North Carolina, quando è stata aggredita ed uccisa da Decarlos Brown, cittadino statunitense di 34 anni, con una lunga lista di reati commessi, che con tre coltellate l’ha ferita mortalmente al collo, mentre la giovane donna guardava il suo cellulare. Il killer ha affermato: “L’ho uccisa è bianca”, “Mi legge nella mente”.

Charlie Kirk, “l’influencer Maga più giovane”, come lo definisce il Corriere della Sera, viene ucciso durante (un comizio per dirla con le parole di Sky tg 24, una conferenza per Il Fatto Quotidiano) uno dei suoi dibattiti, viene da scrivere su questo Taccuino presso l’Utah Valley University. Era una di quelle occasioni in cui lui arrivava in un campus, si sedeva sotto un cartello Prove me wrong e discuteva con gli studenti universitari. Purtroppo, non ha avuto la fortuna del presidente Trump, che si è visto solo sfiorare da una pallottola diretta al volto. A Charlie sembra siano stati dedicati proiettili firmati, con slogan pro-transgender e frasi antifasciste. Un colpo lo ha ferito alla gola, facendolo morire in pochi istanti, come Iryna, della quale lui aveva raccontato. Uno dei pochi che lo aveva fatto.

Quello che un liberale, autentico, non alle vongole, come ce ne sono tanti in giro, quelli dei giorni buoni in cui basta scrivere, dire, postare su un social qualcosa contro lo stato e la giornata passa serena, dinanzi a queste notizie, fa, o dovrebbe fare, è indignarsi per la narrazione, per la spettacolarizzazione e la mancanza di distacco dalla faziosità politica nella quale è stato molto facile scadere.

Una giovane donna bianca viene uccisa, ma, a quanto pare, white lives don't matterMorire per il colore della pelle è ingiusto, per taluni, solo se il colore è quello giusto, fa scena, altrimenti la notizia, come si dice in gergo “non fa notizia” e cade nel dimenticatoio. Non si è letta nessuna voce femminista sollevarsi per la giovane donna bianca, ucraina, uccisa in metropolitana, nessuna giornalista si è inginocchiata in piena trasmissione per onorare quella giovane vita spezzata senza alcun motivo, se non, a quanto pare, per il colore della pelle. Non abbiamo avuto notizia di alcuna attivista che se la sia presa come sanno fare per i femminicidi, eppure questo delitto è ancora più brutale di un femminicidio. 

Da liberale non ci sto. Non ci sono vite che valgono di più, slogan che sono di più, hashtag più famosi di altri.

Così come non ci sto, che nella narrazione mainstream sull’omicidio di Kirk, si dimentichi che era prima di tutto un 31enne, padre di due bambini piccoli, marito. Viveva delle sue parole, dei suoi argomenti. Non ha mai compiuto violenza, o commesso reati. Eppure, le descrizioni della sua persona e del suo lavoro sono agghiaccianti. Nemmeno mezza riga simile per Brown.

Tutti si ritengono in diritto di poter descrivere Kirk secondo le categorie sociologiche preferite, da estremista di destra in giù, verso l’inferno linguistico degno dei peggiori bar dei peggiori posti, giudizi pesanti, come se si stesse parlando di un efferato criminale, mentre viene protetto con altrettante scuse sociologiche uno come Brown (“rischia l’ergastolo”, è stato scritto; è schizofrenico, è il frutto del fallimento del sistema sanitario, è un senza tetto, e nessuno che abbia indicato il colore della sua pelle, mentre è stata indicato il colore della pelle della vittima come sostanziale scusa per l’omicidio, senza nessuna condanna per quanto accaduto). 

Come vivono in queste ore i familiari di Kirk, come potranno essere protetti i figli, da tutto quello che tutti si ritengono in diritto di dire e scrivere contro di lui? Non è stata spesa una parola di considerazione per la sua famiglia, per il dolore che stanno provando. Nessuno rispetto per l’uomo, facendo parte della sfera politica avversaria.

Da liberale, preferirei mille volte che Charlie Kirk fosse vivo, perché per quanto possa aver avuto idee non condivisibili, lui dava la possibilità di provargli che aveva torto, Prove me wrong.

Su molti temi, un liberale gli avrebbe dimostrato che aveva torto, ma sul suo campo, quello della logica, quello delle parole, usando quel metodo dialogico che era alla base dei suoi speech; invece, un paladino di cause amate da una certa retorica culturale decisamente non liberale, lo ha colpito. Così avrà sempre ragione, pur avendo torto su questioni molto lontane da posizioni ed idee di libertà (liberale). 

Il Parlamento europeo non ha concesso un minuto di silenzio per un politico ucciso freddamente da un cecchino, tanto meno è venuto in mente ad alcuna delle paladine dei diritti di tutti tranne che di quelli simili a noi, di proporre un momento dedicato anche alla giovane donna ucraina uccisa brutalmente.

Poteva cogliere l’occasione per ricordare i diversi politici di destra e di sinistra uccisi negli Usa in questi ultimi – amari – tempi, per dimostrare di essere diversi, migliori, quanto meno eticamente; invece, ha preferito strumentalizzare gli eventi perché non confacenti alla narrazione mainstream.

Così sono morti due volte Iryna Zarutska e Charlie Kirk, e con loro la libertà, quella di indignarsi per l’indifferenza dei passeggeri della metropolitana in cui viaggiava Iryna, mentre piangeva per la ferita che l’avrebbe fatta morire di lì a poco; quella che dimentica che prima di essere un politico Charlie Kirk aveva due bambini, a cui domani qualcuno dovrà raccontare chi era il loro padre e perché è stato ucciso e troveranno solo squallide cose scritte in queste ore. 

Invece che tacere almeno per un minuto, molti si sono divisi in guelfi e ghibellini ed hanno perso l’occasione di tacere non solo per un minuto in segno di rispetto, ma per inadeguatezza come esseri umani, di narratori dei fatti, e per rispettare la morte di una persona che combatteva con le parole. Dure, forti, pesanti, ma erano solo parole. Sovvertibili, controvertibili, dimostrabili come fallaci.

If you don't believe in freedom of speech for people you disagree with, you don't believe in freedom of speech at all. (Noam Chomsky).

Che la terra vi sia lieve, Iryna e Charlie.

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di Elvira Cerritelli