Il Governo è in stand-by?

La coda dell’estate e l’autunno 2025 saranno occupati principalmente dalle elezioni regionali, mentre “maiora premunt” a nord e sud dell’Italia, coinvolgendo il mondo intero. Considerate prodromiche delle elezioni politiche nazionali, le regionali ricevono più attenzioni del dovuto, considerando la situazione geopolitica nella quale il Paese è immerso e coinvolto. Gli ultimi mesi dell’anno, il Governo e il Parlamento sono tradizionalmente presi e assorbiti dalla preparazione e discussione della legge di bilancio. Gli anni della XIX Legislatura (2022-2027) sono e saranno sulle spalle del Governo Meloni, che dovrà segnarne il lascito storico. Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha già il primato di prima donna a ricoprire l’incarico e si appresta, sperabilmente, a conquistare il primato del governo ininterrottamente in carica per i cinque anni della legislatura. Inoltre (non rischio troppo a prevederlo in base alle condizioni dell’opposizione) è probabile che governerà ancora dal 2027, all’insediamento della XX Legislatura. Per quanti anni, però, è impossibile dirlo adesso.

Stando così le cose, non è parso strano a nessuno del mondo parlamentare e giornalistico che alcuni dei più autorevoli commentatori politici abbiano, indipendentemente e da fronti diversi, posto alla Meloni, più che al suo Governo, la questione cruciale: cosa intenda fare di profondo e duraturo per frenare se non arrestare il declino dell’Italia, che è sotto gli occhi di tutti, lei compresa. Questi commentatori, anche da oppositori, le hanno riconosciuto di aver riaffermato la politica estera atlantica ed europea, quest’ultima nonostante i timori e tremori sovranistici paventati da molti. Ma adesso, dopo aver governato tre anni e avendone altri due da impiegare, la Meloni viene richiesta apertamente, con intenti costruttivi, di una precisa risposta al fatidico “Che fare?” sul fronte interno, oltre gli indubbi risultati circa l’occupazione, che beneficia anche dell’insoddisfatta domanda di lavoratori.

Esistono derive annose, delle quali Meloni ovviamente non ha colpe, né può disporre di rimedi con effetti immediati. La prima è l’inverno demografico. Minaccia le fondamenta stesse della società italiana, che rischia di accartocciarsi. Per fronteggiarlo, occorrono da subito misure politiche integrate, che devono essere dichiarate, approvate dal Parlamento, eseguite con determinazione. La demografia è una scienza, non un’impressione sociologica. Strettamente connesso alla denatalità, è il debito pubblico, che potrebbe deflagrare per la pressione di eventi che, sebbene eccezionali, stanno diventando prevedibili e probabili, quali pandemie, necessità militari, guerre commerciali. A riguardo, i più perspicaci commentatori hanno rimproverato, per così dire, alle narrazioni ufficiali (e semiufficiali: la grancassa di giornali e tivù in comunione di affetti) dell’azione governativa un eccesso di ottimismo ed elogi superiori a quelli che usualmente sogliono attribuirsi ad un governo amico.

Per esempio, la ribadita soddisfazione per lo spread ridotto deve essere ridimensionata e chiarita, se no risulta una fake news. Lo spread, in generale, registra la differenza tra due valori, come i tassi d’interesse. In Italia si riferisce alla differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani (Btp) e quelli tedeschi (Bund). Al momento, il Bund decennale tedesco rende il 2,72 per cento. Il Btp decennale italiano rende il 3,71 per cento. Lo spread, dunque, è 0,99. Significa soltanto che il tasso italiano supera di quasi un punto il tasso tedesco, non già che “i titoli di Stato italiani vengono considerati più sicuri dei titoli di Stato tedeschi”, come la presidente del Consiglio asserì imprudentemente davanti al Parlamento.

Ancora per esempio, la Francia sta soffrendo proprio in questi giorni una crisi finanziaria che la fa considerare, di qua e di là delle Alpi, in una condizione quasi prefallimentare, addirittura. Una certa ruggine tra il governo italiano e il governo francese ha portato incauti esponenti dell’Esecutivo italiano a irridere le difficoltà del bilancio francese e a dipingere i governi d’Oltralpe come deboli, incapaci, instabili a petto del governo italiano stabile, capace, forte. Sennonché le cifre sono chiare. Dovrebbero suggerire ai governanti italiani avvedutezza e sobrietà. Grosso modo, nel 2024 in Francia il Pil ammontava a 2.923 miliardi e il debito pubblico a 3.345 miliardi, circa 114 per cento. In Italia il Pil del 2024 è stato 2.192,182 miliardi e il debito pubblico 2.965,7 miliardi, circa il 135,3 per cento. Il tasso di crescita francese è stato 0,9; il tasso italiano 0,7. Se i numeri della Francia segnalassero una condizione preagonica, i numeri dell’Italia (nel frattempo anche peggiorati) attesterebbero un decesso avvenuto.

Negli ultimi tre anni, il debito pubblico è cresciuto di circa 200 miliardi. Se il tasso di crescita del debito permanesse a lungo superiore al tasso di crescita del Pil, la sostenibilità del debito sarebbe compromessa. L’intreccio inestricabile e la perversa interazione tra demografia negativa, debito crescente, stagnazione economica rischiano di produrre conseguenze drammatiche sulla vita degli italiani.

Demografia, debito, crescita, con tutti i loro aspetti implicati e connessi, sono le montagne che i commentatori disinteressati, sia oppositori che sostenitori del Governo, esortano Giorgia Meloni a scalare, con l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione. Sarà la rinascita, non il belletto sparso dai suoi innamorati visagisti sui lineamenti della nazione e neppure, semplicemente, la sua legittima autostima, a conformare il giudizio definitivo, storico azzarderei, sull’operato del suo attuale governo e sulle aspettative future della sua leadership politica.

Aggiornato il 03 settembre 2025 alle ore 10:16