La profezia di Leopardi: come la debolezza europea ribalta il verdetto di Draghi

Si ripete da più parti, e non solo nei circoli politici, che lEuropa sia irrilevante. Lo ha detto anche Mario Draghi, in uno dei suoi discorsi più ascoltati, alludendo a un continente che rischia di ridursi a terreno di passaggio per le potenze vere. Impossibile negarlo. Ma raramente si è indicata la ragione ultima della debolezza europea rispetto alle potenze vere, quelle che ancora detengono un arsenale nucleare sufficiente a garantire la propria sopravvivenza nello scacchiere globale. In effetti, se si misura la forza in base alla capacità di annientare, lEuropa non può che apparire fragile, quasi disarmata di fronte agli Stati che dettano legge attraverso la minaccia ultima della distruzione. Da qui, il coro che accompagna il canto del cigno europeo: limpressione che questo spazio di popoli, nazioni e istituzioni sia destinato a rimanere marginale, confinato a un ruolo decorativo nello scacchiere mondiale. Eppure, la debolezza può nascondere una forza diversa, che non si misura con le stesse categorie del potere militare.

LEuropa è il luogo in cui, prima che altrove, si è manifestata la consapevolezza che non esiste una verità assoluta. Da Friedrich Nietzsche in poi, e in particolare con la proclamazione della “morte di Dio”, lOccidente europeo ha portato fino in fondo la propria avventura intellettuale, riconoscendo che nessun fondamento ultimo può garantire lordine del mondo. Tutto ciò che appare come definitivo – lo Stato, la nazione, lidentità collettiva, persino lidea di popolo – non è che un costrutto destinato a dissolversi. È illusione credere che la vittoria di uno Stato sullaltro rappresenti qualcosa di definitivo: ogni potenza che trionfa prepara già la scena del proprio declino. LEuropa sa questo prima degli altri, ed è per questo che appare debole e irrilevante. Ma è proprio tale consapevolezza, che la distingue, a poterle conferire unaltra forma di forza.

La lezione è antica, e Giacomo Leopardi l’aveva già intravista in un contesto analogo. Nel suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani del 1824 osservava come gli italiani, privi di una vera vita civile, apparissero agli occhi dei popoli moderni come privi di consistenza: deboli, appunto. Ma proprio questa mancanza di un vincolo solido, questa dispersione e leggerezza, gli consentiva di scorgere un tratto che i popoli civili” non conoscevano ancora: linconsistenza stessa delle loro certezze. Leopardi parlava in un contesto ottocentesco, contrapponendo gli italiani ai francesi, agli inglesi, ai tedeschi ovvero alle superpotenze geopolitiche del tempo; ma il principio è il medesimo. Là dove gli altri credono ancora nella solidità delle loro istituzioni e delle loro verità, chi ne ha già sperimentato la caducità appare debole. In realtà, però, si trova già oltre: vede con più lucidità, si affaccia per primo sul terreno che prima o poi gli altri dovranno percorrere. Il XX secolo ha dato ragione al grande filosofo recanatese e i “costumi deglItaliani” sono diventati i costumi di tutto il continente europeo, al punto che la celebre espressione di Klemens von Metternich: “LItalia è unespressione geografica”, potrebbe oggi pacificamente essere applicata allintera Europa, come se il destino anticipato da Leopardi fosse divenuto la condizione generale del continente.

Se questo è stato ed è il destino dellEuropa nelletà dominata dallequilibrio nucleare, la domanda che si impone è quale significato possa assumere tale destino nellepoca che si apre oggi. Perché se la potenza del Novecento si è misurata nella rigidità degli arsenali atomici, in un equilibrio statico fondato sulla minaccia reciproca della distruzione, la potenza che avanza nel XXI secolo sembra misurarsi nella capacità di governare l’Intelligenza artificiale. E qui il quadro cambia radicalmente. Se lIa diverrà la forma principale della tecnica globale, allora la potenza non consisterà più nel custodire un ordigno che paralizza, ma nel padroneggiare un processo in continuo mutamento. Larma nucleare è rigida, centralizzata, concentrata in pochi Stati; lIa è fluida, disseminata, capace di reinventarsi senza sosta. Se davvero il mondo andrà verso un equilibrio tecnico di questo genere, allora le categorie tradizionali della forza perderanno peso, e con esse anche la logica che fino ad ora ha reso lEuropa irrilevante.

In un simile scenario, la fragilità europea potrebbe rivelarsi meno distante dal nuovo volto della potenza. Se il futuro appartiene a una tecnica che non ha centro stabile, che dissolve continuamente i suoi stessi fondamenti, allora un continente che già vive senza ununica sovranità, che sperimenta da secoli la crisi dellidentità collettiva, può trovarsi paradossalmente avvantaggiato. Ciò che era segno di impotenza nellepoca dellatomo – la dispersione politica, lassenza di un comando unitario, la rinuncia alla forza armata – può assumere un altro significato quando la potenza si presenta come instabilità organizzata, come mobilità permanente. Se la tecnica che viene non offrirà più verità assolute, ma solo processi di calcolo e adattamento, allora lEuropa, che ha già compreso lillusorietà di ogni fondamento, potrà trovarsi più pronta di altri popoli a vivere dentro questa fluidità. Nietzsche aveva detto che la morte di Dio avrebbe aperto lo spazio a un mondo privo di fondamento ultimo; Leopardi aveva visto che la presunta solidità dei popoli civili nascondeva la fragilità delle loro certezze. Se lIa dovesse divenire il nuovo strumento della potenza, essa non farebbe che confermare quelle intuizioni: non un fondamento definitivo, ma un continuo dissolversi e ricomporsi.

In tal caso, l’irrilevanza europea non sarebbe soltanto una condanna. Potrebbe rivelarsi l’annuncio di una possibilità diversa: un continente già costretto a pensarsi senza certezze assolute, che per questo sa meglio abitare la fluidità della tecnica. Se le grandi potenze nucleari continueranno a difendere arsenali e identità rigide, esse rischieranno di trovarsi più impreparate di un’Europa che, per necessità storica, vive già nella precarietà. La debolezza di oggi potrebbe diventare, in un futuro dominato dallIntelligenza artificiale, la forma più avanzata di forza. Naturalmente, tutto questo riguarda il lungo periodo. Ed è un discorso che si regge soltanto se si ritiene davvero che non esista alcuna verità ultima, che la storia dell’Europa e del mondo non sia che il fluire incessante di illusioni che si dissolvono l’una nell’altra. È la conseguenza estrema della sentenza nietzschiana sulla morte di Dio e della diagnosi leopardiana sull’inconsistenza dei fondamenti. Ma qui si impone un chiarimento: che l’Europa possa apparire favorita dalla dissoluzione dei fondamenti non significa che la dissoluzione sia l’ultima parola. L’intero ragionamento si regge sull’assunzione che non esista una verità. Ed è proprio qui che iniziano i veri problemi.

Aggiornato il 01 settembre 2025 alle ore 11:26