
Parafrasando Lenin e rivolgendoci all’attuale, cosiddetta sinistra italiana, potremmo dire che “il massimalismo è la malattia infantile del comunismo”. Questa frase venne pronunciata criticando le posizioni di alcuni partiti comunisti europei, che non erano in grado di produrre strategie che tenevano conto delle situazioni interne e internazionali portando allo sbaraglio la classe operaia. Si dice che quando s’invecchia si torna ad essere infantili, ed è così per questa pseudo sinistra che ha smarrito l’anima e anche i valori che ispiravano il comunismo al di là della sua vocazione autoritaria. Ecco, l’unico aspetto rimasto nel loro Dna culturale è proprio l’autoritarismo, come abito mentale, ricco di narcisismo, ignoranza selettiva e infantilismo che è in grado di produrre rabbia intellettuale e odio aristocratico che si veste di indifferenza per i problemi altrui.
Il mondo è certamente cambiato in questi ultimi due secoli, siamo passati dalla società agricola all’industriale, alla post-industriale e, oggi, a quella digitale, i ceti sociali si sono definiti e ridefiniti con ascensori sociali diversi nel tempo, la politica ha sempre cercato di regolare queste modifiche strutturali tra le varie classi, avendo come obiettivo, al di là degli schieramenti (almeno nelle proprie enunciazioni), la tutela dei più deboli (anche grazie all’imprinting cristiano dell’Occidente). La sinistra del Novecento ha sempre avuto come stella polare, anche nella sua versione ipocrita, perché autoritaria, la difesa dei lavoratori. Oggi la cosiddetta sinistra italiana, dopo aver eliminato quella socialdemocratica (Mani pulite), abbandona la tutela del mondo del lavoro trasformando le battaglie sulla giustizia sociale in battaglie sui diritti civili. Certamente i diritti civili sono importanti, ma se diventano un’ideologia (come tutte le ideologie) ecco che si entra in una visione autoritaria della società, dalla difesa dei proletari alla difesa delle minoranze sessuali. Cosa che potrebbe sembrare sacrosanta, se queste battaglie non si fossero coniugate con l’autoritarismo diventando principi identitari, ed essendo allergici alla cultura liberale, per cui i diritti delle minoranze non devono convivere con la maggioranza, ma essere il modello a cui la maggioranza si deve conformare.
Con la fine del comunismo è cambiato il paradigma destra-sinistra, i partiti comunisti europei non hanno mai fatto una loro autocritica o Bad Godesberg (luogo dove si svolse il congresso della socialdemocrazia tedesca in cui venne ripudiato il marxismo-leninismo), hanno cambiato nome – nel caso italiano – o si sono inseriti nei vari partiti socialisti infettandoli con la loro cultura autoritaria. Se prima si considerava la sinistra come la rappresentante del popolo e dei ceti meno abbienti, oggi rappresenta una minoranza elitaria che, più o meno inconsciamente, non è interessata a rispondere ai bisogni dei ceti deboli, anzi vive con fastidio questi bisogni definendoli di destra. Questa trasformazione “modernista” della pseudo sinistra è funzionale ai nuovi equilibri internazionali per i quali non bisogna disturbare il capitalismo finanziario che, in compenso, mette a loro disposizione l’universo digitale, un nuovo modo di fare politica, una politica che non chiede partecipazione, discussioni, mediazioni tipiche del processo democratico, ma basta un like, un consenso sugli slogan e sulla propaganda che grazie alla polarizzazione identitaria che favorisce “il maggioritario bastardo”.
Mani pulite di fatto ha eliminato la politica come strumento di partecipazione e selezione delle classi dirigenti, e se a questo aggiungiamo non solo l’abolizione dell’immunità parlamentare, ma anche l’abolizione del finanziamento pubblico, è chiaro che la politica è morta. Senza soldi non c’è democrazia e non c’è politica autonoma che possa affrancarsi dalle grandi lobby industriali e finanziarie. La politica, di norma, ha dei valori e una visione progettuale del futuro (di norma condivisa dai vari partiti con differenti priorità), così la sinistra una volta indicava l’emancipazione di tutto il mondo del lavoro – arrivando all’autogestione – come modello da contrappore all’individualismo capitalistico, mentre oggi prevale un concetto di libertà individualistico sul mondo del lavoro. Che praticamente coincide con l’indifferenza per le loro condizioni. È per loro più facile fare battaglie green, indignarsi quando avviene un incidente sul lavoro, costa meno impegno e poi i social network garantiscono la visibilità, ovviamente polarizzata tra le varie fazioni, costruendo un consenso non sul confronto, ma sulla delegittimazione dell’avversario trasformato in nemico. Gli stessi concetti di inclusività o solidarietà nei fatti sono solo l’abito buono per “considerarsi di sinistra”, ma poi si trasformano in abbandono, business o strumento per imporre una dittatura delle parole. Questa è ormai una sinistra tornata all’età infantile, marionetta della finanza internazionale; mentre prima individuava (in modo sbagliato) il capitalismo come obiettivo da distruggere, oggi è sottomessa alle leggi del mercato, anzi della finanza.
I socialisti democratici non sono mai stati contro il mercato. Anzi, per quanto possibile, nella Prima Repubblica è stato regolato e controllato, non è un caso che nel 1987 eravamo la quarta potenza industriale del mondo. Molti socialisti pensano che essere alleati di questo Partito democratico vuol dire essere di sinistra. Niente è più falso di ciò, perché oggi i dem rappresentano gli interessi di alcune lobby finanziare, non solo angloamericane, ma anche mediorientali, e la finanza non crea ma distrugge i posti di lavoro. Come farlo con il consenso della politica? Semplice, comprandosi quello schieramento politico che nell’immaginario collettivo ha rappresentato gli interessi e la tutela dei lavoratori. Basta ricordarsi del professor Romano Prodi e della svendita delle aziende italiane e dunque del peggioramento delle condizioni dei lavoratori: dai contratti Co.Co.Co. alle false partite Iva, lavoro interinale e a intermittenza.
Oggi, paradossalmente, il Governo Meloni rappresenta l’elettorato del vecchio pentapartito, nonostante stia votando meno della metà degli aventi diritto, e per esorcizzare questa deriva massimalista si inventano il ritorno del fascismo come collante per dirsi di sinistra. Il dramma è che serve alla democrazia una sinistra democratica che si confronti con la destra senza essere nemici ma avversari, che sanno essere uniti quando si tratta di difendere gli interessi nazionali. Che si tratti di politica estera, sicurezza o grandi opere, certamente con approcci diversi ma per un obiettivo comune: lo sviluppo del Paese e il benessere dei cittadini.
Questo triste panorama mi fa pensare “all’isola che non c’è”, perché tra Peter Pan e la pseudo sinistra purtroppo c’è piena sintonia, il dramma è che molti cittadini vivono e partecipano a questa bolla mediatica manichea in cui destra è sinonimo di fascismo affinché l’anatema impedisca il dialogo tra forze politiche nell’affrontare i gravi problemi che attanagliano il Paese.
Aggiornato il 28 agosto 2025 alle ore 11:15