La strada da percorrere sulla separazione delle carriere

Nei giorni scorsi, il Senato ha approvato il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati. Nei prossimi mesi, il Parlamento dovrà effettuare gli ultimi passaggi tecnici, dopodiché il ddl (ormai legge) verrà quasi certamente sottoposto a referendum confermativo. Spetterà quindi al popolo italiano (nel cui nome viene amministrata la giustizia: articolo 101 della Costituzione) esprimere un giudizio politico sulla questione.

In questi casi – come spesso e, purtroppo, accade – la polarizzazione si acuisce a tal punto da oscurare un ragionamento serio e tecnico sui contenuti della riforma. Non guasta, allora, una breve ricapitolazione in proposito. Il ddl propone importanti modifiche al Titolo IV della Costituzione, con l’obiettivo di dividere nettamente le carriere dei magistrati giudicanti da quelle dei magistrati requirenti. Oggi, infatti, i magistrati seguono un unico percorso di carriera, pur svolgendo funzioni profondamente diverse: sono selezionati con un concorso comune; hanno diritto di elettorato attivo e passivo all’interno di un unico organo di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura, che assume valutazioni professionali e disciplinari dei magistrati; condividono tutto ciò che l’unicità della carriera comporta.

Con la separazione si vuole superare tale modello, sul solco degli insegnamenti – per fare soltanto due nomi di indiscutibile fedeltà allo Stato di diritto e alla democrazia costituzionale – di Giovanni Falcone e Giuliano VassalliLa riforma mira infatti a garantire l’effettività del giusto processo previsto all’articolo 111 della Costituzione: assicurando una netta distinzione tra chi giudica e chi, invece, coordina le indagini, esercita l’azione penale e sostiene l’accusa, si rafforzerebbe già l’apparenza di terzietà e imparzialità del giudice. È scritto espressamente nel ddl: la magistratura resterebbe un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Non è vero, dunque, come pure è stato affermato, che il pm verrebbe sottoposto al controllo dell’Esecutivo.

Dal punto di vista politico, il Governo ha avuto il merito di promuovere il completamento del sistema accusatorio introdotto nell’88-89 e del modello del giusto processo scolpito nella Costituzione, pur a fronte di un’opposizione che, nei fatti, è venuta più dagli organi rappresentativi della magistratura associata che dalle altre forze parlamentari. Lunga è la strada ancora da percorrere: da qui al referendum costituzionale; e da lì, se approvato, alla piena attuazione di una legge che, come è stato scritto, non può essere ricondotta alla classica divisione destra-sinistra.

(*) Giuseppe Portonera (Forlin Fellow Ibl), Francesco d’Errico (presidente ExtremaRatio)

(**) Tratto dall’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 28 luglio 2025 alle ore 15:58