I “due popoli e due Stati” di Renzi e Calenda

Durante la manifestazione “Due popoli, due Stati”, svoltasi al Teatro Parenti di Milano il 6 giugno scorso e a cui hanno preso parte anche esponenti dell’area liberaldemocratica, come Sinistra per Israele e di Più Europa, Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno tenuto due interventi segnati da una forte presa di posizione a favore della coesistenza e contro il fanatismo. Renzi ha aperto il suo discorso richiamando lo scrittore israeliano Amos Oz e l’importanza del dialogo tra le parti, sottolineando che “Israele ha il diritto – anzi il dovere – di esistere”, ma ha aggiunto che anche “i bambini di Gaza hanno il diritto di crescere in pace”, liberi dai bombardamenti e da Hamas”. L’ex premier ha criticato il Governo italiano definendolo “marginale e silenzioso” e ha invitato l’Esecutivo a essere più attivo sul piano della diplomazia internazionale. Renzi ha, infine, respinto l’idea del boicottaggio culturale come forma di protesta, definendolo “chiusura mentale” e non uno strumento di dialogo. Ha quindi ribadito la necessità di affermare con chiarezza due verità complementari: “Il diritto all’esistenza dello Stato di Israele e il diritto alla libertà del popolo palestinese”.

Renzi ha ribadito che non ci può essere ambiguità su questo punto: “Israele non solo ha il diritto, ma il dovere di esistere. Allo stesso modo, i bambini di Gaza devono avere il diritto di crescere in pace, liberi da Hamas e dalle bombe”. Senza negare la responsabilità di Hamas come organizzazione terroristica, Renzi ha invitato anche a guardare con lucidità alle scelte del Governo israeliano: “Non mettiamo sullo stesso piano una democrazia e un gruppo armato. Proprio per questo chiediamo a Netanyahu di rispettare il diritto umanitario. Israele conosce il diritto, e quindi ha l’obbligo di rispettarlo”. Il leader di Italia viva ha anche criticato le campagne di boicottaggio contro le istituzioni accademiche e culturali israeliane: “L’università è il luogo del dialogo, non del silenzio imposto. Boicottare cultura e ricerca non è resistenza, è chiusura mentale. Anche il teatro è uno spazio di libertà, e questo teatro oggi è un simbolo di confronto”. Carlo Calenda ha concluso la manifestazione con un intervento appassionato e determinato, in cui ha espresso la sua solidarietà a Israele, pur criticandone l’attuale Governo. Calenda ha infatti dichiarato di non condividere “nulla di ciò che sta facendo il Governo di Israele, e questa è la posizione che contemporaneamente si sposa con l’assoluta intolleranza di chi predica la distruzione dello stato di Israele e per ogni atto, purtroppo diffuso, di antisemitismo. Oggi avremo bandiere palestinesi e israeliane insieme. Ci sono luoghi dove non è accettabile avere una bandiera palestinese o una bandiera israeliana”, ha chiosato riferendosi alla manifestazione promossa invece da Pd, Avs e M5s per la giornata di sabato 7 giugno.

Per Calenda, “chi è amico di Israele deve avere il coraggio di dire che così non va”, precisando, nel tentativo di rispondere a delle critiche mossegli dalla brigata ebraica e da altre organizzazioni filoisraeliane, che non è vero che dal 7 ottobre ci siano state mobilitazioni e ribadendo la sua convinzione che “quando tu scrivi no israeliani su una vetrina il passaggio a no ebrei lo hai già fatto dentro la testa”. E così ha poi continuato: “Non è vero che non c’era empatia verso Israele. Mio figlio di 15 anni ha chiesto di fare lo stage nella comunità ebraica. Lo ha fatto. Siamo tra i pochi ad aver detto fin da subito che Hamas, dopo il 7 ottobre e dopo aver tenuto ostaggi, anche in Paesi terzi, era un obiettivo militare legittimo. Ma arriva un punto – ha scandito – in cui bisogna dire basta. E quel basta lo devono dire proprio gli amici di Israele, perché se non lo diciamo noi, lo diranno altri. E lo sappiamo chi saranno”. Quel “basta”, per Calenda, non sarebbe una formula generica: “Non è lo slogan da talk show dei due popoli, due Stati e pace giusta. È un basta preciso: basta all’involuzione democratica che sta colpendo Israele. Mentre parliamo, ci sono israeliani che marciano verso Gaza con viveri e aiuti. E noi ci arrovelliamo sul dibattito assurdo se Hamas sequestra o no gli aiuti. Certo che li sequestra. Hamas è un gruppo di terroristi islamici, nemici dell’Occidente. Chi sventola quella bandiera inneggia contro sé stesso”.

Calenda poi ha precisato: “Di Hamas non mi importa, sono terroristi. Io voglio parlare di Israele. Perché Israele è qualcosa a cui siamo profondamente legati. E se Benjamin Netanyahu sta prolungando la guerra per restare al potere, è nostro dovere dirlo. Lo dicono anche gli israeliani. Con questa destra al Governo, nessun passo sarà fatto verso il riconoscimento dello Stato di Palestina. E se non ci sarà quello, non ci saranno due popoli e due Stati”. Non bastano, ha detto, le condanne generiche: “Se dici che Hamas ruba gli aiuti, è vero. Ma questo non giustifica la distruzione di Gaza, non giustifica i bombardamenti, non giustifica lasciare persone senza cibo. Quel ragazzo palestinese che avete sentito oggi non merita le bombe. Non merita la fame”. Ma soprattutto, ha poi spiegato Calenda, in gioco ci sarebbe l’anima di Israele: “E l’anima di Israele non è Netanyahu, ma quella di chi lotta per la democrazia. È per loro, per gli amici veri di Israele, che oggi bisogna dire basta. Non per far vincere Hamas, ma per salvare Israele. E anche noi stessi, noi che siamo suoi amici”. Calenda ha quindi concluso il suo intervento dicendo che “lo Stato di Israele ha diritto di esistere e difendersi, ma questo diritto di esistere e difendersi ce l’ha secondo il codice di una democrazia, che non è il codice di Hamas, che sono terroristi, che devono essere solamente mandati a casa, allontanati e possibilmente eliminati”. Quest’ultima frase, in particolare, ha suscitato reazioni contrastanti, ma rappresenta con chiarezza la linea del leader di Azione: riconoscere il diritto all’autodifesa di Israele, ma solo nel quadro dei valori democratici, e condannare Hamas come organizzazione terroristica da isolare e combattere.

La manifestazione del 6 giugno scorso ha così visto due dei principali leader del centro liberaldemocratico italiano pronunciarsi in favore della pace tra israeliani e palestinesi, con un appello alla moderazione e al rispetto del diritto internazionale e al tempo stesso con una condanna esplicita della violenza e del terrorismo. Ciò che tuttavia non è stato spiegato è come Israele avrebbe potuto operare per riuscire a “mandare a casa”, “allontanare” e possibilmente “eliminare” Hamas utilizzando una strategia diversa da quella che sta attuando e che ha comportato finora migliaia di morti fra i civili. Ciò che in particolare Calenda avrebbe dovuto cercare di spiegare è come si sarebbe potuto indurre un’organizzazione che evoca, per i suoi principi e la tipologia della sua cinica strategia militare, migliaia di Pogrom antisemiti e la stessa Shoah, che ha militarizzato un intero territorio con decine di chilometri di tunnel sotterranei utilizzando anche donne e bambini come scudi umani in scuole e ospedali, a riconsegnare gli ostaggi e a rinunciare a ogni proposito di aggressione futura senza cedere al suo ricatto e senza determinare una sua sostanziale vittoria. In altri termini, se non si sa individuare, dopo il 7 ototobre, una strategia alternativa per evitare la vittoria di Hamas e della sua aggressione criminale, si è autorizzati a suppore che quella attuata dal Governo israeliano sia anche l’unica possibile e a un tempo efficace per scongiurarla.

In assenza di una simile alternativa, bisogna ammettere che per realizzare quanto prima lo scenario auspicato dalla manifestazione del 6 giugno al Teatro Parenti di “Due popoli due Stati” – che resta di gran lunga l’ipotesi più auspicabile e probabilmente l’unica in grado di garantire in futuro una pace duratura – è necessario fare in modo che Hamas non abbia più il pieno controllo di Gaza. Se questa condizione preliminare non sarà soddisfatta, e nell’unico modo in cui ormai può esserlo, la guerra non potrà che continuare per un tempo indefinito, producendo per molti anni ancora morti e tragedie nel contesto di una destabilizzazione incessante di tutta la regione mediorientale. Calenda è invece convinto che Netanyahu stia facendo ciò che sta facendo semplicemente per restare al potere, ma quanto sta succedendo a Gaza è ben lontano dal garantirgli questa possibilità, anzi, è molto probabile che, dopo la sconfitta di Hamas, il popolo israeliano scelga comunque un leader che sia in grado di riannodare i fili di un dialogo con l’Anp e di favorire la soluzione di “due popoli due Stati” che si riconoscano reciprocamente il diritto di esistere. Non sarà un percorso semplice, ma è l’unico in grado di condurre alla pace che, dopo quanto sta succedendo, sia il popolo israeliano sia quello palestinese potrebbero a questo punto sinceramente auspicare. Viceversa, il cedere ora alle richieste di Hamas lasciandogli il controllo di Gaza, oltre a precludere possibilità di futuri accordi di pace, renderebbe vane le morti e le tragedie che si sono prodotte fino ad oggi per ripartire tra qualche anno da una situazione analoga a quella ante 7 ottobre.

E chi ha capito cosa vuole Hamas, sa bene anche che qualsiasi interlocuzione con quest’organizzazione islamista e antisemita che mira esplicitamente alla distruzione d’Israele è puramente illusoria, così come è illusorio pensare che si possa rispettare quel “diritto umanitario” su cui ha richiamato l’attenzione Matteo Renzi quando si deve combattere contro dei terroristi che usano dei civili come scudi umani in un territorio completamente militarizzato. Per arrivare a una pace solida e duratura è invece necessario, per usare un verbo utilizzato da Calenda, “allontanare” prima Hamas da Gaza impedendogli così di poter controllare e ricattare perennemente la sua popolazione, e dopo riavviare un dialogo su nuove basi con l’Autorità nazionale palestinese, che ha già dato prova di voler intraprendere un percorso di pace prendendo più volte le distanze dalla politica islamista e terrorista di chi ha per anni programmato e poi attuato, con il fondamentale sostegno del regime iraniano e nel giorno del compleanno di Vladimir Putin, l’eccidio criminale del 7 ottobre, che non sfigura, agli occhi e secondo gli auspici dei molti antisemiti viventi e assai attivi sui media e nella società, di fronte ad altri eccidi delle SS, come quelli di Marzabotto o di Sant’Anna di Stazzema.

Aggiornato il 07 luglio 2025 alle ore 10:53