Zanda attacca il campo largo: “Schlein e Conte senza carisma”

“Sarebbe necessario allargare il partito. Ma la segretaria non se ne occupa”. È il cuore del J’Accuse pronunciato dall’ex senatore Luigi Zanda, uno dei fondatori del Partito democratico, non ricandidato al Parlamento da Enrico Letta, in vista delle elezioni politiche anticipate del 2022. “I partiti sono stati trasformati in movimenti comandati da leader che parlano per slogan. Anche il Pd è caduto in questa trappola”. Zanda lo spiega al Corriere della Sera. A suo avviso, “a destra l’unica leader è Giorgia Meloni, che però non riesce a fare la presidente del Consiglio per tutto il Paese e lo fa solo per la sua parte”. Ma il vero affondo l’ex senatore lo riserva ai plenipotenziari del cosiddetto campo largo. “All’opposizione, Elly Schlein e Giuseppe Conte non hanno né la forza politica, né il credito o il carisma per poter aspirare alla leadership del centrosinistra. Le coalizioni tra partiti e partitini possono funzionare soltanto se c’è un partito forte attorno al quale gli altri possano ritrovarsi. Ma per ottenere questo obiettivo bisogna rinforzare e allargare il Pd mentre mi sembra che Schlein non si occupi molto del partito, anzi mi sembra che sia infastidita dal centro del suo partito”.

Questo stato di cose secondo Zanda “è uno dei motivi che tiene il Pd inchiodato a quel 21, 22 per cento che gli danno i sondaggi”, spiega. “Rispetto Schlein ma la verità va detta: lei non era iscritta al Pd e per statuto non era candidabile, Enrico Letta ha modificato le regole ad personam alla vigilia delle primarie e lei ha perso tra gli iscritti ed è stata eletta dai non iscritti. Vista la genesi della sua segreteria, c’era da aspettarsi una gestione unitaria del partito, non di maggioranza. È questo il freno a mano che non apre il dibattito all’interno del Pd”. Come scrive il Secolo d’Italia, la sentenza pronunciata dall’ex senatore dem sembra davvero escludere appelli, scoperchiando un vaso di Pandora che molti, nel Pd, avrebbero preferito tenere sigillato. Un giudizio severo ma lucido, il suo, che affonda le radici in una constatazione oggettiva: l’attuale dirigenza del centrosinistra stenta a produrre una figura che buchi lo schermo e incarni un’alternativa credibile al Governo in carica. Non basta l’idealismo, non basta la retorica della svolta se dietro non c’è la capacità di aggregare, di dialogare, di allargare la base.

Proprio sull’allargamento del partito si concentra il cruccio maggiore di Zanda. Un monito, il suo, che risuona come una preghiera inascoltata. Il Pd, nella visione dell’ex senatore, dovrebbe aprirsi, accogliere nuove energie, nuove idee, superare le vecchie liturgie e le divisioni interne che lo attanagliano da anni. Ma, per l’appunto, la segretaria, chiosa amaramente Zanda, “non se ne occupa”. Constatazioni amare, che mettono in luce una presunta miopia politica, un’incapacità di guardare oltre il proprio steccato ideologico per costruire una forza realmente inclusiva, possibilmente maggioritaria, quanto meno in grado di aggregare e capitanare le forze d’opposizione.

Aggiornato il 04 luglio 2025 alle ore 14:03